Il voto sul nuovo bilancio Ue a Strasburgo, 13 marzo 2013

La camera alta

La vittoria nello scontro con Londra sui bonus ai banchieri ha dimostrato la forza conferita all'unico organo eletto dell'Ue dal trattato di Lisbona. Ma perché diventi il perno della democrazia europea servono altre riforme.

Pubblicato il 13 Marzo 2013 alle 15:35
Il voto sul nuovo bilancio Ue a Strasburgo, 13 marzo 2013

Nelle profondità del Parlamentarium – l’appariscente sede del nuovo centro per i visitatori dei Parlamento, costata 21 milioni di euro – Eva Vanpeteghem ed Elise Mais scoprono gli arcani della democrazia comunitaria. Le due giovani belghe, entrambe quindicenni, si trovano all’interno di una ricostruzione dell’emiciclo in cui i deputati europei discutono e votano. 
I ragazzi delle scuole non sono gli unici a scoprire l’importanza del Parlamento europeo, per lungo tempo presentato come una casa di riposo per i politici nazionali a fine carriera. Grazie al Trattato di Lisbona del 2009, che ne ha enormemente aumentato i poteri (e con essi la scaltrezza di alcuni intraprendenti deputati), oggi il Parlamento europeo è uno degli organi più influenti dell’Unione, e recentemente ha imposto la sua volontà in ambiti molto diversi come la pesca, la riforma del mondo della finanza e i mille miliardi di euro del budget comunitario
Per rendersene conto basta chiedere ai signori della finanza della City, che alla fine di febbraio hanno ricevuto una lezione di potere parlamentare non proprio gradita con il [Acta], nel timore che potesse favorire la censura. Inoltre hanno ottenuto modifiche sostanziali all’accordo per la condivisione dei dati personali con gli Stati Uniti [Swift] concepito per smascherare il finanziamento alle organizzazioni terroriste, dopo una moratoria-rinvio di sei mesi che ha fatto infuriare l’allora segretario di stato Hillary Clinton e il vicepresidente americano Joseph Biden. Il Parlamento ha anche preso l’abitudine di bocciare regolarmente i candidati alla Commissione europea (l’esecutivo europeo) proposti dai governi nazionali quando li considera intolleranti (è il caso di un pretendente italiano) o incompetenti (bulgaro). “I tempi in cui il Parlamento e la sua ininfluenza erano la barzelletta dell’Europa sono finiti”, afferma un diplomatico europeo. 
Sotto la presidenza di Martin Schulz il Parlamento si mostra sempre più ambizioso. Il presidente vorrebbe trasformare l’emiciclo nell’agora dove i leader europei verranno a dibattere pubblicamente i grandi temi comunitari, come le contromisure per risolvere la crisi del debito. A novembre la cancelliera tedesca Angela Merkel ha scelto proprio l’assemblea per presentare il suo progetto di un’eurozona in cui i governi nazionali trasferiscono i poteri più importanti a Bruxelles, soprattutto in ambito fiscale. “Il Parlamento europeo è l’istituzione più aperta d’Europa”, ha ribadito Schulz a febbraio.
Eppure non tutti condividono il suo entusiasmo. Nessuno contesta il vigore del Parlamento, ma qualcuno sottolinea che non ha ancora sviluppato la maturità e la responsabilità che dovrebbero derivare da questa crescita. Le sue pretese di legittimità democratica sono sminuite da una partecipazione alle elezioni europee che continua a calare costantemente dalla prima consultazione a suffragio diretto, nel 1979. In occasione dell’ultimo scrutinio l’affluenza ha raggiunto appena il 43 per cento, e questo nonostante una campagna mediatica per mobilitare gli elettori costata milioni di euro. Secondo i critici del Parlamento, il fenomeno si spiega in parte con il fatto che gli eurodeputati si preoccupano poco del benessere dei cittadini Ue e molto di sottrarre potere alle altre istituzioni europee: la Commissione, braccio esecutivo che emana le proposte di legge, e il Consiglio europeo, che rappresenta i governi nazionali. 

Strana creatura

Il Parlamento europeo è sempre stato una strana creatura. Diversamente dai suoi omologhi nazionali, non è eletto per formare un governo. Per natura, i suoi rappresentanti sono spesso federalisti che sostengono in massa il concetto di “più Europa” e la maggiore integrazione che ne deriva, convinti che sia la risposta più adatta a gran parte delle problematiche politiche. 
Mentre l’Ue si dibatte nella crisi del debito dell’eurozona e s’incammina verso uno dei più grandi rimpasti dei suoi sessant’anni di storia, il dibattito sul futuro del suo Parlamento s’intensifica. La lotta contro la crisi ha determinato un’impressionante trasferimento di poteri ai tecnocrati di Bruxelles, non eletti ma incaricati di controllare le finanze e le politiche economiche delle capitali europee. Da qui ance l’inquietudine per il “deficit democratico” crescente tra l’Unione e una popolazione tenuta sempre più a distanza dal processo decisionale. Essendo l’unica istituzione europea i cui esponenti sono eletti a suffragio universale diretto, il Parlamento potrebbe essere l’organo più adatto a ricomporre questa frattura. Ma per farlo in modo credibile dovrà riallacciare i legami con quell’opinione pubblica che dovrebbe rappresentare.
A Bruxelles le idee su questo argomento non mancano. Per esempio c’è chi vorrebbe chiedere a ogni partito politico di presentare come capolista il suo candidato alla presidenza della Commissione, in modo da indicare agli elettori l’importanza della posta in gioco. Altri sono convinti che la soluzione migliore sia quella di concedere più potere ai parlamenti nazionali per ciò che riguarda le leggi europee. Secondo alcuni funzionari Ue questo sarà l’elemento centrale della futura revisione dei trattati, possibilmente dopo il 2014.
 Per il momento, però, gli europei si dovranno accontentare del parlamento che si ritrovano. Anna Jensen, liberal-democratica danese, è convinta che gli eurodeputati abbiano il dovere di contribuire a indirizzare la spesa europea e controllare attentamente gli accordi che i leader europei hanno l’abitudine di negoziare a porte chiuse. “Se il parlamento non ha una posizione chiara e usa i suoi poteri legislativi, allora che ci stiamo a fare qui?”

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