Il commissario europeo Olli Rehn durante una conferenza stampa a Bruxelles, dicembre 2012

La legge di Rehn

I dubbi sull'efficacia della politica di austerità imposta da Bruxelles continuano a moltiplicarsi. Sfortunatamente il commissario agli affari economici continua a seguire la linea del dogmatismo.

Pubblicato il 22 Aprile 2013 alle 11:47
Il commissario europeo Olli Rehn durante una conferenza stampa a Bruxelles, dicembre 2012

Perplessità. È questo il sentimento che ispira lo scontro sull’austerity che oppone la Commissione europea e l’Fmi. Il dibattito è tanto tecnico quanto politico: si tratta di  stabilire l’impatto delle misure di austerity sul pil. L’argomento può sembrare complicato, ma in realtà non lo è più di tanto: a seconda del valore del cosiddetto “moltiplicatore fiscale” i tagli alla spesa possono salvare un’economia oppure affondarla. 
I blog nazionali e internazionali su cui gli economisti discutono dell’impatto dell’austerity sono pieni di analisi che giustificano o mettono alla gogna le politiche seguite dall’Ue. Sfortunatamente il dibattito sui moltiplicatori fiscali ha raggiunto livelli di complessità insostenibili, e inoltre, nonostante sulla carta le ricette e gli studi degli esperti abbiano una presentazione impeccabile (corredati a grafici, tabelle formule statistiche) a ben vedere è in atto uno scontro durissimo carico di accuse di incompetenza, manipolazione dei dati e integralismo ideologico.
Cosa possiamo estrapolare da questa discussione? Nel migliore dei casi, supponendo che tutti gli esperti agiscano in buona fede e tenendo conto delle limitazioni della scienza economica, possiamo concludere che esiste un dubbio più che ragionevole sull’efficacia della politica imposta da Bruxelles (Commissione, Eurogruppo, Banca centrale). L’unica cosa che sappiamo con certezza è che non sappiamo abbastanza, e di conseguenza nessuno può affermare di avere ragione al cento per cento. Non è molto, ma basta per cominciare ad articolare un dibattito pubblico su una ricetta che ormai somiglia sempre più a un dogma e a una verità rivelata e sempre meno a una politica pubblica. 
Alla confusione e al sospetto bisogna aggiungere la perplessità causata dal fatto che due istituzioni della famigerata troika, la Commissione e l’Fmi, si permettono di dissentire pubblicamente e ripetutamente sull’efficacia della politica d’austerity. Queste istituzioni sono state affidate a personalità non elette partendo dal presupposto che avessero le capacità necessarie per creare posti di lavoro e migliorare l’economia, e di conseguenza possano legittimamente governare senza il consenso popolare e senza poter essere spodestate da un voto popolare. Accettando il principio secondo cui esistono politiche che non possono essere sottoposte a votazione compiamo un grave passo indietro nella nostra democrazia, perché alla base della democrazia c’è la possibilità di mandare a casa i governanti se non svolgono adeguatamente il loro compito. Se davvero vogliamo farlo, allora dobbiamo essere sicuri di guadagnare in efficienza ciò che perdiamo in legittimità e rappresentatività.

Dispotismo senza lumi

Ricordate il “tutto per il popolo ma senza il popolo” del dispotismo illuminato? Oggi ci ritroviamo con un dispotismo senza lumi. L’Europa è governata da un dispotismo tecnicamente incompetente, che non possiamo sfidare né con analisi economiche sensate né con un controllo politico elettorale o parlamentare. Il massimo esponente di questa realtà è Olli Rehn, il finlandese da cui provengono raccomandazioni economiche che sono spesso vincolanti. Di recente il commissario ha invitato caldamente la Spagna ad aumentare ancora l’iva e ad agevolare ulteriormente i licenziamenti.
Rehn non è esattamente un tecnico, ma un professionista della politica. È stato deputato e vicepresidente del Partito liberal-democratico (Alde) tra il 1995 e il 1998, e ha ottenuto un un dottorato in scienze politiche all’università di Oxford. Si tratta di un curriculum lodevole, ma questo non vuol dire che il commissario abbia più certezze statistiche o empiriche di me o di voi per quanto riguarda i moltiplicatori fiscali.
Eppure il futuro di un paese – la Spagna, dove la disoccupazione colpisce più di 6 milioni di persone e minaccia di raggiungere un tasso del 27 per cento – è nelle sue mani. Sbagliare politica economica è un lusso che non possiamo permetterci. Se lo faremo cosa diremo alle generazioni future? Che non lo abbiamo fatto apposta oppure che non abbiamo avuto il coraggio di porre le domande giuste?

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