L’Unione della paura

La nuova estrema destra europea sfrutta le inquietudini dei cittadini per organizzarsi su scala continentale ed estendere la sua influenza su governi nazionali e istituzioni dell'Unione. Un circolo vizioso che rischia di costarci caro.

Pubblicato il 3 Novembre 2010 alle 15:43

La notizia non è finita sulle prime pagine dei giornali, ma avrebbe dovuto. Riuniti il 23 ottobre a Vienna, i rappresentanti di cinque partiti della nuova estrema destra europea [Fpö (Austria), Vlaams Belang (nazionalisti fiamminghi), Partito del popolo danese, Lega nord, Partito nazionale slovacco e Democratici di Svezia] hanno deciso di lanciare una campagna in favore di un referendum europeo sull'entrata della Turchia nell'Unione. Per ora si tratta solo di una semplice dichiarazione d'intenti.

L'estrema destra non avrà vita facile perché il trattato di Lisbona, che pure permette l'organizzazione di referendum di iniziativa popolare, prevede numerose condizioni alcune delle quali piuttosto vaghe. Servono infatti un milione di firme in un "numero adeguato di paesi membri". Queste condizioni non sono ancora soddisfatte, me se lo fossero la risposta sarebbe un chiaro e secco "no" a una candidatura che la maggioranza dei cittadini dell'Unione non vuole

Questa prospettiva rafforza la posizione di quei governi che non vogliono questo allargamento e contribuisce di fatto a rallentare la procedura. Arrivati quasi a un punto morto, i negoziati con la Turchia saranno ancora più compromessi, perché in un momento in cui il rifiuto dell'islam è molto di moda nessuno sarà disposto ad accettare che l'estrema destra si rafforzi utilizzando uno strumento di democrazia diretta europea capace di unire elettori di tutte le correnti politiche.

La notizia non è finita sulle prime pagine dei giornali, ma avrebbe dovuto per due ottime ragioni. La prima è che l'Europa deve ormai fare i conti con questa forza nazionalista, islamofoba e in pieno sviluppo, che non ha più molto a che vedere con i nazisti nostalgici di ieri. L'estrema destra di oggi non è lontana dall'ottenere un quarto dei voti europei, e le sue percentuali sono già a due cifre.

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Strumentalizzando una collera sociale di dimensioni continentali, questo movimento sta realizzando una sintesi fra la difesa dei privilegi dello stato assistenziale, l'aspirazione al protezionismo e la minaccia culturale della presenza musulmana. Impersonato da nuovi dirigenti, moderni e dinamici, questo movimento comincia a raccogliere simpatia sia negli ambienti operai che fra i giovani urbani. Questa destra sa fare politica e non si limita a usare la violenza, come si è visto in Svezia e in Italia, in Francia e Paesi Bassi, e sfrutta la sua innovativa presenza nello spazio politico europeo, che è la prima a voler utilizzare.

È solo l'inizio

In altre parole, questa nuova destra ha appena cominciato a cambiare il panorama politico dei Ventisette. La sua affermazione complica notevolmente il funzionamento delle istituzioni europee, dal Parlamento – dove il numero dei suoi rappresentanti è in continuo aumento – al Consiglio e alla Commissione – sui quali avrà sempre più influenza grazie ai governi nazionali che devono contare sui suoi voti per mantenersi al potere. Così non solo i compromessi fra destra e sinistra, pratica fondamentale e permanente dell'Unione, saranno resi ancora più difficili, ma tutti i progressi verso l'Europa politica e federalista saranno energicamente combattuti da queste forze che vedono la restaurazione delle frontiere nazionali come la soluzione per tornare al paradiso perduto delle nazioni forti.

Questa notizia non è finita sulle prime pagine, ma avrebbe dovuto, perché gli europei rischiano di sprofondare ancora di più in questa paura di tutto che finirà per isolarli. La paura dell'islam ci sta facendo perdere un'occasione storica di avvicinarci alla Turchia, di consolidare la democrazia e la laicità nel più dinamico e moderno dei paesi musulmani, di trovare nuovi mercati e di offrire al Medio Oriente l'esempio di un destino diverso da quello della regressione islamista. La paura del superamento degli stati-nazione, con cui si identificano i compromessi sociali del dopoguerra, ci sta facendo perdere la possibilità di costruire uno stato-continente e di avere ancora potere in un secolo in cui le medie potenze di ieri non conteranno più.

La paura ci impedisce di vedere che potremmo utilizzare le istituzioni dell'Unione per creare una democrazia europea con una Commissione frutto di una maggioranza parlamentare; che potremmo così ricreare una potenza pubblica in grado di rovesciare il rapporto di forze tra il capitale e il lavoro, e che potremmo quindi fare della zona euro un insieme politico, un nucleo di base dell'Unione in grado di favorire il suo allargamento senza andare in stallo. La paura ci acceca e paralizza, i partiti della paura si rafforzano e continuano ad alimentare questa paura. (traduzione di Andrea De Ritis)

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