Linee elettriche a Pulheim, Germania

La politica energetica non brilla

Di fronte alla rapida evoluzione del mercato internazionale, gli operatori europei chiedono a Bruxelles più chiarezza e coordinamento. Ma una vera politica comune è ancora lontana.

Pubblicato il 20 Maggio 2013 alle 15:53
Linee elettriche a Pulheim, Germania

L’energia figura ai primi posti nel programma ufficiale del vertice europeo del 22 maggio. Una ragione in più per farsi sentire: questa è la strategia seguita da tutti i grandi specialisti energetici del Vecchio Continente che, per una volta, procederanno uniti per presentare le loro rivendicazioni alla Commissione.

Il loro messaggio è chiaro: la sicurezza dell’approvvigionamento energetico in Europa è a rischio. Le cause di questa situazione sono molteplici: drastica riduzione degli investimenti nei grandi progetti per le infrastrutture, assenza di un quadro normativo preciso, scarso peso della politica energetica comune. “Insomma, una mancanza evidente di visibilità nel momento stesso in cui i colossi industriali hanno bisogno di un certo numero di segnali per operare efficacemente. Ma non li individuano più”, sottolinea un esperto del settore.

I giganti del settore sono innervositi da una serie di difficoltà ricorrenti: la loro quotazione in borsa è bassa, l’indebitamento ha superato agli occhi degli investitori i limiti accettabili, costringendoli a cospicui programmi di cessione di asset e i loro impianti industriali sono messi a dura prova. Parecchi stabilimenti sono fermi o sono in sospensione temporanea dell’attività per mancanza di rendimento adeguato.

In quest’ultimo caso, il più delle volte si tratta di fabbriche a ciclo combinato di gas (Ccg) vittime del boom del gas di scisto in America settentrionale. Rispetto all’Europa oggi non soltanto il gas è quattro volte meno caro sull’altra sponda dell’Atlantico, ma grazie a questa nuova risorsa gli Stati Uniti possono esportare quantità enormi di carbone che vanno ad alimentare gli impianti di produzione dell’energia elettrica in tutta Europa a prezzi molto più competitivi del gas, costringendo le Ccg a interrompere le loro attività.

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“Ne consegue un paradosso assurdo: un paese come la Germania non ha mai impiegato tanto le proprie centrali a carbone, pur finanziando in modo cospicuo il suo settore delle energie rinnovabili”, nota un dirigente di un’azienda europea. Certo, non dobbiamo credere che lo sviluppo delle energie pulite incontri un’approvazione unanime: le centrali termiche (a gas o a carbone) sono indispensabili per compensare l’intermittenza del fotovoltaico e dell’eolico. In Germania la produzione da fonti rinnovabili ha raggiunto un tale giro d’affari che investire nelle centrali classiche, indispensabili ma costose da costruire, non è più redditizio. Questa impasse preoccupa parecchio tutte le compagnie elettriche e di gas.

Nel messaggio inoltrato questa settimana alla Commissione, per iscritto e a voce, queste aziende intendono richiamare l’attenzione sul finanziamento delle energie: si tratta in particolare di controllare che il sistema di sovvenzioni alle energie rinnovabili non crei uno squilibrio della concorrenza da un paese all’altro. I giganti del settore auspicano anche che il mercato del carbone, e nello specifico le quote di emissione, sia più chiaro, meno costoso e più funzionale. Sperano infine che si incoraggino di più gli investimenti nei mezzi di produzione per rispondere ai picchi di consumo.

Più spazio alle indigene

A margine di questi grandi problemi ogni paese cerca di fare passi avanti nei rispettivi progetti. Al di là del Reno la rete mirante a collegare il nord e l’est del paese, dove si trovano le centrali eoliche e solari; al sud e a ovest dove si trovano le industrie più appetibili dal punto di vista energetico, di importanza fondamentale per la transizione energetica: il paese ha deciso di chiudere tutte le centrali nucleari tedesche entro il 2022 e di portare al 40 per cento la percentuale delle energie rinnovabili. Secondo il piano del governo federale si dovranno migliorare quattromila chilometri di reti e 1700 di “autostrade” elettriche. Berlino vorrebbe condividere con i suoi partner europei le spese per lo sviluppo di questa rete per il trasporto delle energie rinnovabili sul continente.

Per altro la Germania sta investendo nello sfruttamento del gas di scisto, per contribuire alla sicurezza delle forniture e alla stabilità dei prezzi energetici. La cancelliera Angela Merkel dovrebbe prendere nota con soddisfazione che la Commissione europea del summit di mercoledì parla per la prima volta della possibilità di far ricorso in modo più sistematico a fonti energetiche “indigene”, espressione che nel gergo di Bruxelles ormai sta a indicare il gas di scisto.

Anche se da nessuna parte si parla della necessità di esplorare le potenzialità dei paesi membri dal punto di vista del gas di scisto (vero e proprio tabù per la Francia), a Bruxelles si è però socchiusa una porta. Insomma, si tratterà di un argomento di polemica in più nel panorama già complesso dello sviluppo del settore energetico.

Gas di scisto

L’Ue studia il fracking

L’Ue potrebbe presto avviare uno studio sulla fratturazione idraulica (fracking), riferisce Der Spiegel. L’obiettivo è porre le basi giuridiche dei “progetti di dimostrazione ed esplorazione”, per saperne di più sulle tecniche di estrazione del gas di scisto e i loro inconvenienti. Una normativa potrebbe essere stilata entro quest’anno.

La fratturazione idraulica è un metodo controverso, perché l’estrazione del gas dalle formazioni rocciose potrebbe provocare l’inquinamento delle falde acquifere. Ma il commissario Ue all’energia Günther Oettinger crede che “anche se è necessario proteggere le riserve di acqua potabile, non bisogna sopravvalutare i rischi” legati a questa tecnica.

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