Christine Lagarde, José Manuel Barroso e Mario Draghi: "Siamo d'accordo di essere in disaccordo sull'austerity?"

Il mostro a tre teste

La troika formata da Fmi, Banca mondiale e Commissione europea gestisce la crisi dell’eurozona da più di tre anni. Ma i conflitti tra differenti metodi e priorità sono sempre più profondi.

Pubblicato il 22 Maggio 2013 alle 12:00
Christine Lagarde, José Manuel Barroso e Mario Draghi: "Siamo d'accordo di essere in disaccordo sull'austerity?"

Il trio formato dal Fondo monetario internazionale (Fmi), dalla Commissione di Bruxelles e dalla Banca centrale europea (Bce) è stato soprannominato la troika, una parola russa che secondo il saggista euroscettico Emmanuel Todd riflette il grande disagio europeo.

Ma dopo un inizio difficile la troika, nata all'inizio del 2010 per orchestrare il piano di salvataggio della Grecia, fa ancora fatica a mettersi d'accordo. Invece di ridursi, le tensioni continuano ad aumentare. Così come le critiche dei paesi europei o emergenti, dei semplici cittadini e dei dirigenti.

Giovedì 16 maggio in occasione di un forum europeo a Berlino Wolfgang Schäuble, il ministro tedesco delle finanze - vicino a Christine Lagarde, direttrice del Fondo monetario internazionale - ha duramente criticato la Commissione. Per lui la divisione delle responsabilità a Bruxelles sarebbe stata fonte di numerosi problemi nel caso greco. Era forse un tentativo di contrastare la germanofobia, ma anche per indicare il colpevole del fallimento di un salvataggio che, tre anni dopo il suo inizio, lascia Atene in ginocchio e ancora piena di debiti.

Qualunque sia stata la sua intenzione, l'osservazione di Schäuble è in sintonia con la crescente esasperazione del Fondo nei confronti di Bruxelles. "L'Fmi è stufo, ha l'impressione che con l'Europa sia sempre too little, too late - troppo poco, troppo tardi", sintetizzava una fonte interna ai negoziati sul salvataggio di Cipro nel marzo scorso.

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Di fatto i metodi dell'organizzazione di Washington, abituata a correre in aiuto di paesi con gravi difficoltà economiche, e quelli della Commissione, che deve combinare la gestione di interessi economici e politici, non sono gli stessi.

"I meccanismi europei sono molto complessi: ci vuole l'unanimità, bisogna coinvolgere i parlamenti nazionali, un'attività politica difficile che rallenta la Commissione e che complica la cooperazione con l'Fmi", spiega André Sapir, economista del think tank Bruegel e uno degli autori di un rapporto pubblicato a maggio sull'azione della troika. Sul campo, sottolinea Sapir, le équipe tecniche sanno appianare le differenze e lavorare in armonia. A livello politico invece la collaborazione è meno evidente.

A Bruxelles nessuno osa criticare apertamente l'Fmi, la cui presenza è considerata un elemento di credibilità. La partecipazione del Fondo, voluta dalla Germania e sostenuta dalla Bce, rassicura i mercati. Ma le critiche, quando possono rimanere anonime, fioccano numerose.

Nel corso dei piani di salvataggio dell'Irlanda, del Portogallo, della Spagna o di Cipro, "l'Fmi è diventato sempre più dogmatico", denuncia una fonte di Bruxelles. La gestione del salvataggio di Cipro, in cui l'Fmi ha voluto avere voce in capitolo su ogni cosa dopo aver messo sul tavolo "solo" un miliardo di euro sui dieci concessi in totale al paese, ha provocato grande irritazione. "L'Fmi ha assunto un potere sproporzionato", osserva un'altra fonte.

A volt la Commissione considera il Fondo troppo severo e intransigente nei confronti dei tentativi di rendere più attraenti le cifre della crescita o del deficit dei paesi sotto assistenza. In passato erano soprannominati "cow-boys", ma adesso gli esperti dell'Fmi sono chiamati "ayatollah". Una definizione che stupisce, visto che l'organizzazione si è mostrata spesso più sensibile di Bruxelles a non soffocare i paesi sotto regimi di risanamento troppo drastici.

L’irritazione dei Brics

L'Fmi non gradisce queste critiche e deve affrontare l'esasperazione di alcuni dei suoi stati membri, in particolare tra i paesi emergenti. Questi infatti fanno fatica a capire come sia possibile che il Fondo, dopo aver gestito senza troppi scrupoli i casi dei paesi dell'America latina, dell'Africa e dell'Asia, dedichi così tanto tempo e denaro agli Stati della zona euro. "Per loro è come se gli Stati Uniti chiedessero l'aiuto dell'Fmi per salvare la California", osserva Simon Tilford del Center for European Reform (Cer) di Londra.

Anche la presenza della Bce in questo gruppo di organizzazioni suscita perplessità, soprattutto al suo interno. I funzionari più ortodossi temono che l'autorità monetaria debba piegarsi ai negoziati politici, con il rischio di compromettere la sua indipendenza. Nella troika la Banca centrale europea dovrebbe limitarsi a svolgere un ruolo di "consiglio tecnico". "Ma la frontiera non è sempre chiara e questo alimenta le accuse di conflitti di interesse", sottolinea Sapir.

In Irlanda la Bce è stata accusata di agire in modo poco trasparente, privilegiando i propri interessi. Ma è soprattutto il caso greco che, fin dall'inizio, ha catalizzato le tensioni. Ed è proprio Atene che rischia di creare nuovi problemi. Nella convinzione che il paese non possa farcela senza un nuovo aiuto, l'Fmi chiede che i suoi creditori pubblici - gli stati della zona euro - accettino di cancellare parte del debito greco. Una richiesta che per ora i paesi europei non intendono accettare.

Tutto questo alimenta l'immagine di un'unione monetaria in difficoltà di fronte ai problemi dei suoi stati membri. "Una situazione molto triste che non fa che accentuare l'euroscetticismo", conclude Tilford.

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