I pentiti dei cartelli (1/2)

A fine giugno la Commissione europea ha messo sotto inchiesta 13 banche per un accordo illegale sui derivati. L’offensiva contro i cartelli si basa soprattutto sugli informatori spinti a denunciare grazie a forti sconti di pena.

Pubblicato il 9 Luglio 2013 alle 12:21

Talvolta vivere nel mondo degli affari è come essere in un film di spionaggio in cui il protagonista fotografa di nascosto alcuni piani segreti, sollevando a intervalli regolari la testa per paura di essere sorpreso da un terribile agente del Kgb. Probabilmente questo ha pensato il dirigente del gruppo chimico Degussa quel giorno dell’aprile 2002 in cui si è ritrovato con la macchina fotografica in mano, in un palazzo di uffici a Zurigo, tentando disperatamente di mettere insieme le prove indispensabili alla sua azienda per sottrarsi ai fulmini della Commissione europea.

Davanti a lui, sulla scrivania, alcuni documenti ricapitolavano 30 anni di accordi segreti stipulati da varie società chimiche – il suo datore di lavoro Degussa, la sua filiale Peroxid Chemie, ma anche AkzoNobel, Atofina e altre ancora – per mettere sotto il loro pieno controllo un mercato molto particolare, quello dei perossidi organici. A partire dal 1971 questi cartelli si sono dati appuntamenti segreti, dividendosi i clienti e mettendosi d’accordo sui prezzi.

La cospirazione ha retto per trent’anni circa, fino al suo tradimento. Nell’aprile del 2000 i dirigenti di AkzoNobel hanno deciso di denunciare, presso la Commissione europea, il traffico nel quale erano invischiati. Pentimento improvviso? Non proprio: il gruppo voleva soltanto approfittare di quella viene definita comunemente procedura di clemenza. In pratica, il primo che denuncia un cartello del quale fa parte si vede cancellare la multa che in caso contrario sarebbe tenuto a pagare. Ma anche gli altri partecipanti hanno il loro interesse a collaborare: il secondo che confessa la cospirazione può vedersi ridurre l’ammenda del 30-50 per cento, il terzo del 20-30 per cento e così via. La protezione dei pentiti antimafia estesa alla vita del mondo degli affari.

Dopo le confessioni di Akzo si è diffuso il panico. Subito dopo anche Atofina ha ammesso le sue colpe. Qualche mese dopo è toccato a Degussa. Ma i suoi dirigenti sono stati subito raggelati dai funzionari dell’esecutivo europeo: “È bene che siate venuti da noi, ma non basta: ci dovete portare le prove che non abbiamo, prima di pretendere uno sconto di pena”.

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Come fare? Tutti i documenti che comprovano l’accordo segreto sono a Zurigo, ben nascosti nella cassaforte di Treuhand, la società svizzera che coordina il cartello. C’è una sola possibilità: un direttore di Degussa prende un aereo per Zurigo, presenta domanda a Treuhand con un pretesto qualsiasi, fotografa di nascosto i documenti compromettenti. Alcuni giorni dopo i funzionari della Commissione si ritrovano tutti i negativi nei loro uffici, sulla scrivania. E in particolare quello che immortala l’accordo iniziale: è un foglio rosa del 1971, che riporta tutti i dati e le intese del cartello. Un colpo da maestro che consente a Bruxelles di avviare la sua inchiesta. Nel 2003 arrivano le sanzioni. Degussa ha diritto a uno sconto del 25 per cento sulla multa di 34 milioni di euro che avrebbe dovuto pagare.

Inizio difficile

I funzionari dell’onnipotente “DG Comp” – l’ente europeo per la libera concorrenza – potrebbero raccontare decine di storie rocambolesche di questo tipo. Ormai sono dieci anni che si fa quasi la coda per denunciare gli accordi segreti e circa l’80 per cento di questi complotti sono puniti a livello europeo proprio grazie a un “delatore”.

“Questo programma permette veramente di far saltare il sistema. Tutte le aziende coinvolte in un complotto di questo tipo, infatti, si trovano costrette a chiedersi da un momento all’altro se non varrebbe la pena denunciarlo prima di essere denunciate”, spiega Olivier Guersent. L’attuale capo di gabinetto di Michel Barnier, commissario per il mercato interno, conosce a memoria la procedura, che ha creato egli stesso e ha cambiato radicalmente i metodi investigativi della Commissione.

All’inizio, tuttavia, era difficile che questo sviluppo – che ricalca da vicino quanto era accaduto alcuni anni prima negli Stati Uniti – ottenesse il plauso di tutti nei corridoi di Bruxelles. Molti funzionari esprimevano la loro avversione per questo approccio da “mani pulite” che metteva i cartelli sullo stesso piano dei reati di sangue.

In verità tra il 1995 e il 1999 la Commissione ha inflitto “appena” 292 milioni di euro in multe per punire questo tipo di accordi. In seguito tutto è cambiato: tra il 2000 e il 2004 si è passati a 3,4 miliardi di euro e tra il 2005 e il 2009 a 9,4 miliardi. Tra il 2010 e il 2012 altri 5,4 miliardi di euro. Senza i delatori, però, Bruxelles e gli enti per la concorrenza sarebbero del tutto sprovvisti degli strumenti necessari a far rispettare la legge.

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