Il campo profughi di Zaatari, in Giordania, vicino alla frontiera siriana.

Non chiudiamo gli occhi davanti ai profughi

Poco a poco l’Ue si sta dotando di una politica comune e coerente sull’asilo. Per i profughi che desiderano entrarvi, però, l’accesso all’Europa resta estremamente difficile. Il dramma siriano dovrebbe rappresentare un’occasione per mostrarsi più accoglienti.

Pubblicato il 1 Agosto 2013 alle 15:53
Il campo profughi di Zaatari, in Giordania, vicino alla frontiera siriana.

L’ondata di profughi riversatasi in Svezia è meno consistente di quanto previsto dall’Ufficio immigrazione. Quest’anno saranno quasi 45mila le persone provenienti da tutto il mondo che chiederanno asilo in Svezia, novemila in meno del previsto. E anche le previsioni per l’anno prossimo sono state ridotte a 48mila, ossia tremila persone in meno.
Questa diminuzione del numero di profughi sarebbe una buona notizia se fosse il risultato di un mondo più pacifico e democratico. All’origine delle nuove statistiche sembra però esserci piuttosto l’inasprimento dei controlli alle frontiere dell’Ue. Soprattutto quella tra Grecia e Turchia.
La situazione dei profughi siriani appare particolarmente disastrosa. António Guterres, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, l’ha definita la più grave crisi umanitaria che il mondo abbia conosciuto dal genocidio ruandese. A oggi sono quasi 1,8 milioni i profughi siriani che vivono nei paesi confinanti con la Siria, tra Libano, Giordania, Turchia e Iraq. Il campo profughi di Zaatari, in Giordania, allestito all’inizio di luglio dell’anno scorso, conta oltre 144mila abitanti ed è diventato la quarta città della Giordania.
I profughi sono spesso accolti con generosità e compassione. Più il conflitto si prolunga, però, e più aumenta la pressione sui paesi confinanti con la Siria. In un’intervista al quotidiano britannico Guardian, António Guterres ricorda come il massiccio afflusso di rifugiati nella regione oltre a rischiare di sfociare in una crisi umanitaria, potrebbe rappresentare una minaccia mondiale alla pace e alla sicurezza.
E l’Europa cosa fa? Per il momento, ben poco. A mancare non sono certo le buone intenzioni. Tutti i paesi membri dell’Ue si sono impegnati a rispettare la Convenzione di Ginevra che protegge gli individui in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni. Nel mese di giugno il Parlamento europeo ha adottato un pacchetto di misure che prevede un regime di asilo comune ed entrerà in vigore ad autunno del 2015. Speriamo che alla fine sfocerà in un miglioramento delle modalità di accoglienza dei rifugiati, soprattutto sul piano della sicurezza giuridica.
L’Unione europea possiede inoltre un quadro legislativo comune per la gestione delle crisi umanitarie di ampia portata. Nel 2001, all’indomani della guerra in ex-Yugoslavia, l’Ue ha raggiunto un accordo su una legislazione che consente di garantire una protezione temporanea in caso di afflussi massicci di sfollati. Il problema è che i profughi che desiderano fare domanda di asilo devono farla sul posto, all’interno delle frontiere europee.
Oggi le persone che vogliono fare richiesta d’asilo vengono bloccate alla frontiera. All’inizio degli anni 2000 esisteva ancora qualche scappatoia per entrare. Molti paesi europei consentivano di avviare le procedure per la richiesta d’asilo dalle loro rispettive ambasciate. Con la chiusura di queste vie, però, i profughi sono costretti a entrare clandestinamente nell’Unione.

Semplificare l’ingresso

Certo, una parte riesce a varcare la frontiera - ma sono relativamente pochi. A tutt’oggi, l’Unione europea ha accolto quasi 43mila profughi provenienti dalla Siria. Martedì, dalle pagine del quotidiano svedese Dagens Nyheter, la commissaria europea per gli affari interni, Cecilia Malmström, si è detta preoccupata della scarsa disponibilità degli stati membri ad accogliere i rifugiati, come era stato richiesto dall’Alto commissariato dei diritti umani per i rifugiati (Unhcr). “Non si sono alzate molte mani” quando, qualche settimana fa, l’Unhcr ha fatto appello ai paesi membri dell’Unione europea per accogliere 12mila rifugiati provenienti dai campi profughi dei paesi confinanti con la Siria, ha spiegato Malmström.
È giunto il momento che i leader europei rivedano il loro modo di pensare. Se le ragioni umanitarie non bastano, magari la prospettiva di una recrudescenza delle tensioni in Medio Oriente potrebbe rafforzare il loro impegno.
Sarebbe opportuno semplificare le modalità di ingresso legale nell’Unione europea, per esempio consentendo alle ambasciate di rilasciare dei visti umanitari, in modo tale che i profughi possano esporre i motivi della loro richiesta d’asilo.
L’Ue deve gestire in modo collegiale le sue responsabilità nei confronti dei rifugiati siriani. Se non oggi, con quasi due milioni di persone provenienti da un paese vicino all’Europa in fuga dalle loro case, allora quando?

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