Riscoprire i valori europei

L’integrazione europea non riesce a colmare il divario culturale con i paesi dell’est. Serve uno sforzo di creatività e comunicazione per evidenziare quello che ci unisce.

Pubblicato il 21 Agosto 2013 alle 11:56

Il recente rapporto dell'eurodeputato Rui Tavares sulla situazione dei diritti dell'uomo in Ungheria e sul modo in cui è stato accolto dal governo ungherese solleva di nuovo la questione della realizzazione del progetto europeo dopo la caduta della cortina di ferro. L'Ungheria e le sue recenti posizioni politiche non corrispondono più alle attese di Bruxelles. Un discorso analogo si potrebbe fare per la Romania o la Bulgaria; per la Slovacchia riguardo alla procedura utilizzata per risolvere la questione rom; per la Francia per lo stesso problema o per il Regno Unito per il modo in cui affronta il diritto del lavoro dei romeni e dei bulgari. E potremmo continuare con altri paesi.
Non è nostra intenzione elencare tutte le irregolarità o le imperfezioni, ma osservare come quello che sembrava l'incarnazione del sogno di molti dirigenti politici europei si trasformi periodicamente in molti paesi membri in una sorta di nevrosi governativa. E un discorso simile si può fare per Bruxelles.
I testi dei trattati fondamentali [dell'Ue] devono sempre più spesso fare i conti con delle realtà incompatibili con la filosofia di un'Europa unita. Il problema è che il processo di elaborazione delle leggi su scala comunitaria è troppo lento o troppo generalista, al contrario di una realtà che genera rapidamente nuovi contesti di sopravvivenza. Controllare il rispetto di questi grandi progetti legislativi comunitari è sfibrante e si rivela non in sintonia con la vita politica interna degli stati membri.
Questo mancato adeguamento sottolinea anche l'incapacità di Bruxelles di trasmettere i valori del grande progetto europeo: i frequenti sondaggi fatti nei diversi paesi membri rivelano una (troppo) scarsa percezione dei valori sostenuti dall'Ue. Le strategie di comunicazione del Parlamento e del Consiglio europeo non sono così efficaci come avremmo potuto immaginare. [[Gli stati entrati nell'Ue nel 2004 e nel 2007 parlano un'altra lingua in materia di democrazia, mercato, diritti dell'uomo e trasparenza]]; tutte nozioni ancora caratterizzate dall'immagine delle "barricate" dietro le quali quello che rimane degli effettivi della barbarie comunista si difende dall'invasione di un mondo occidentale imperfetto.
Quella che per molti sembrava essere, ed è stata, la perfezione delle società chiuse dell'est, è stata improvvisamente sostituita da un nuovo mondo inesplicabile, da un alfabeto straniero che ha dovuto, e deve ancora, essere imparato a memoria. Lo sforzo è considerevole, paragonabile a quello che è stato necessario per portare dopo la caduta del muro la Ddr [Germania dell'est] al "livello" della Repubblica federale [Germania ovest]. Dopo un decennio di spese colossali i risultati non erano molto incoraggianti. Oggi si prova talvolta la stessa cosa di fronte alle "nuove democrazie" dell'Europa dell'est.
Inoltre Bruxelles sembra non capire bene che in queste democrazie la ragion di stato funziona in modo diverso; oggi a questi paesi si chiede non solo di mettere in piedi e di rendere funzionale uno stato che possa riflettersi nello specchio di Bruxelles, ma anche di riconoscersi in questo riflesso. Il modello della ragion di stato studiato da Michel Foucault per il diciassettesimo e diciottesimo secolo era basato sulla limitazione dell'"eccesso di governo", il cui strumento operativo diventerà verso la fine del diciottesimo secolo l'economia politica. Quest'ultima avrebbe orientato le filosofie degli stati verso l'idea di ricchezza dello stato assistenziale. Un termine sconosciuto nell'Europa dell'est dopo il 1945.
Questa grande lacuna, messa in scena con diabolica maestria, ha provocato durante il socialismo-comunismo un tipo di governo che ha considerevolmente atrofizzato gli istinti dei membri di queste società in materia di affermazione individuale, di spirito di competizione e di responsabilità delle proprie azioni.

Velocità di reazione

Le politiche comunitarie devono quindi affrontare non solo le tristemente famose divisioni fra vecchi e nuovi stati membri, ma anche le conseguenze della ricerca esclusiva del profitto a breve termine. Oggi i risultati sono impressionanti: il valore del lavoro, dell'investimento nella formazione e la regolamentazione del mercato del lavoro in funzione delle nuove polarizzazioni economiche che appaiono nella società richiedono una sempre maggiore velocità di reazione.
E quando la reazione si produce, come per esempio nel caso dell'agricoltura, della pesca o delle industrie creative, gli sforzi diretti a tradurla in una pacchetto di leggi comunitarie provocano degli sfasamenti e delle reazioni sociali in tutta l'Ue.
L'Europa rimane troppo un'Europa dei governi e non abbastanza un'Europa dei popoli. I valori europei meriterebbero di essere riscoperti. La comunicazione di questi valori dovrebbe essere l'obiettivo principale dell'Ue. Lasciata nelle mani dei governi e delle istituzioni specializzate, la comunicazione soffrirà sempre di una mancanza di creatività e l'Europa continuerà ad allontanarsi sempre di più da noi.
Solo una visione creativa dei governi potrà rimettere in piedi il processo di un'Europa unita sotto il segno dello sviluppo personale di tutti i cittadini dei paesi membri. Ottenere le cose semplici (un lavoro, una casa, un livello di vita accettabile) è l'unico modo per convincere tutti che il proprio mondo equivale a quello di chiunque altro e in qualunque altro posto. Solo allora l'obiettivo sarà stato centrato correttamente da tutti.

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