Attualità Polonia-Irlanda del nord
Giovani nordirlandesi in visita ad Auschwitz.

Terapia d’urto per la tolleranza

La vita non è facile per i 30mila polacchi che vivono a Belfast. Ma un ex paramilitare protestante ha deciso di sensibilizzare i suoi connazionali ostili alla presenza di questi cattolici, portandoli ad Auschwitz a vedere con i loro occhi le conseguenze del razzismo

Pubblicato il 30 Novembre 2010 alle 16:06
bogdankrezel.com  | Giovani nordirlandesi in visita ad Auschwitz.

Frank Higgins ha circa cinquant'anni e indossa l'uniforme verde del reggimento britannico dell'Irlanda del nord, con tanto di berretto con il ponpon. È sulla tomba dei legionari polacchi della prima guerra mondiale che depone il primo crisantemo. "Pilsudski, vi ricordate chi era Pilsudski?" [il maresciallo Józef Pilsudski è il fondatore della Polonia indipendente dopo la prima guerra mondiale]. Tutti fanno cenno di sì con la testa, come se la domanda riguardasse la regina d'Inghilterra.

Nel gruppo ci sono diversi ragazzi tatuati. Fra di loro c'è Stuart, un elettricista che ha pianto sulle tombe degli aviatori polacchi quando ha visitato il cimitero militare del quartiere di Rakowice a Cracovia. C'è anche Mark, che lavora per un costruttore aeronautico e che fa parte del Red Hand Commando, un gruppo paramilitare di Belfast ufficialmente disarmato un anno fa.

Fra la visita di Wavel [il castello reale di Cracovia], l'escursione nelle miniere di sale di Wieliczka e le chiacchiere con degli studenti polacchi nei pub della città, Mark riflette su come evitare problemi ai 30mila immigrati polacchi che vivono nell'Ulster. In effetti per loro le grane non mancano, tanto più che la grande maggioranza vive nel feudo protestante di Belfast est. "Qui gli affitti sono meno cari che nei quartieri cattolici", spiega Aleksandra Lojek-Magdziarz, dell'Associazione polacca di Belfast.

Nella primavera 2009, alla fine di una partita Irlanda del nord-Polonia, tifosi polacchi, gallesi e scozzesi hanno saccheggiato il centro di Belfast. In risposta i gruppi paramilitari protestanti hanno distrutto 150 case polacche. "La maggior parte delle vittime erano famiglie polacche innocenti", conferma Maciej Bator, direttore dell'Associazione polacca in Irlanda del nord. Tuttavia ammette che anche i polacchi hanno le loro responsabilità nei conflitti con i protestanti. Gli incidenti riguardano soprattutto feste notturne di polacchi ad alto tasso alcolico.

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I polacchi non si rendono conto del rischio che corrono ignorando le regole del quartiere. "A Belfast quando c'è un problema di vicinato non si chiama la polizia, ma i paramilitari, nonostante abbiano ufficialmente deposto le armi qualche anno fa", spiega Kacper Rekawek, politologo presso la Scuola superiore di psicologia sociale di Varsavia.

Non è raro che uomini in borghese, talvolta armati di kalashnikov, facciano irruzione nelle feste polacche e diano agli immigrati 24 ore di tempo per trovare un nuovo alloggio. Ma sono solo i rumori notturni a infastidire i vicini protestanti? "Anche se l'arrivo in massa di polacchi a Belfast risale a sei anni fa, molti di essi continuano a non parlare inglese, e non rispondono neanche alle più elementari formule di cortesia perché non capiscono", osserva Maciej Bator.

Seduto in un ristorante di Cracovia davanti a un piatto di barbabietole fritte, che di solito detesta, Frank sogna una clima di tolleranza. Aveva nove anni quando è stata tracciata la Linea di pace fra Shankill Road e Falls Road. Un muro di cemento armato di cinque metri con sopra il filo spinato per impedire il lancio di molotov. Un muro lungo quasi tre chilometri e con un cancello di acciaio ogni 100 metri. La linea della pace ha trasformato Belfast in una città in guerra per quasi 20 anni.

Le barricate di Falls Road erano controllate dall'Ira, quelle di Shankill Road divise fra i realisti dell'Ulster Defence Association (Uda), l'Ulster Volunteer Force (Uvf) e il Red Hand Commando. Quest'ultimo gruppo è quello al quale appartiene Mark, che è diventato un leader della sua comunità di Carrickfergus, una piccola città dell'Ulster piena di realisti protestanti e di polacchi cattolici.

Muri a confronto

Mark probabilmente non sarebbe mai andato in Polonia se Frank non avesse pensato a mettere a confronto il filo spinato di Belfast con quello di Auschwitz. Dopo aver lasciato l'esercito, Frank ha avuto bisogno di qualche anno per passare da soldato e operaio navale a professore di storia dell'Olocausto.

Quando è arrivata l'ora della pace in Irlanda del nord (quanto meno sulla carta), l'ex commando si è messo in testa di mandare i paramilitari di Belfast in viaggio ad Auschwitz: "Per fare in modo che possano vedere le conseguenze del razzismo nella sua forma più assoluta".

Il progetto ha preso forma con l'arrivo dei polacchi nell'Ulster. "Ho subito capito che gli immigrati polacchi potevano diventare vittime del razzismo in Irlanda del nord", dichiara Frank. Non si sbagliava. "Mi venivano rimproverati tutti i mali possibili e immaginabili. Mi dicevano che i cattolici polacchi toglievano il lavoro e la casa ai protestati", racconta Darius, ex dipendente di un supermercato e adesso al servizio di un'impresa di sicurezza. "Ho anche sentito dire che eravamo responsabili della crisi in Irlanda del nord".

È per gente come Mark (che credeva che in Polonia la gente morisse di fame) e Darius (che fino a qualche anno fa non faceva la differenza tra un irlandese e un irlandese del nord) che Frank ha creato il programma "Thin Edge of the Wedge", che potremmo tradurre come "un piccolo passo per un grande cambiamento". Il programma ha ottenuto l'aiuto dell'Unione europea, che finanzia la formazione, dell'Associazione polacca in Irlanda del nord, degli scienziati dell'università Jagellonica di Cracovia, del Club del dialogo di Cracovia e infine di una parte dei deputati polacchi.

I cicli di formazione da 12 settimane sulla storia del razzismo e della Polonia e i seminari di psicologia riuniscono oggi i dirigenti di organizzazioni paramilitari e di ex prigionieri (compresi gli ex terroristi) dell'Ulster. Sono tra le voci più ascoltate nelle comunità di Belfast. Nei prossimi tre anni Frank vuole formare centinaia di persone provenienti da questi ambienti. "Frank è incredibile", afferma Alexandra Lojek-Magdziarz. "È riuscito a fare qualcosa di impensabile: portare in Polonia gente piena di pregiudizi negativi, che quando ripartono sono completamente scomparsi". (traduzione di Andrea De Ritis)

Crisi irlandese

È colpa degli estoni?

"Gli estoni hanno una parte di responsabilità nella crisi irlandese?" Il quotidiano estone Postimees sostiene di sì. Qualche anno fa per gli estoni l'Irlanda era diventata sinonimo di lavoro. Infatti molti lavoratori stranieri provenienti dall'Europa centrale e orientale sono andati emigrati in Irlanda, dove il "miracolo economico" degli anni novanta offriva salari elevati nel settore dell'edilizia e dell'agricoltura. E poiché i lavoratori stranieri avevano bisogno di un tetto, gli irlandesi hanno cominciato a comprare case per loro indebitandosi fino al collo e finanziando la bolla immobiliare. "Così i nostri contadini hanno contribuito, senza saperlo, ad aggravare i problemi che oggi affliggono l'Irlanda", conclude Postimees.

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