Attualità Cosa attende l’Ue (3/4)

Una terza via per l’Europa

Il metodo intergovernativo in uso finora non riesce a superare i dissidi tra gli stati, ma l'alternativa del federalismo radicale non è realizzabile. Serve un compromesso che ristabilisca l’equilibrio.

Pubblicato il 4 Settembre 2013 alle 15:35

Cè una consapevolezza diffusa che l'Unione europea abbia perso il suo futuro. Ad una crisi finanziaria senza precedenti, le leadership della Ue rispondono con un tecnicismo sempre più esoterico. Mai come ora sono emerse divisioni tra i cittadini europei (tra quelli del Nord e del Sud e, all'interno di ogni Stato membro, tra chi subisce gli effetti della crisi e chi invece si avvantaggia di quest'ultima), eppure quelle leadership politiche continuano a perseguire i loro obiettivi di breve periodo.

[[Il futuro dell’Ue è appeso ai risultati di quella o di quell'altra scadenza elettorale nazionale]], mentre la disoccupazione cresce, la diseguaglianza si accresce e l'Europa conta sempre di meno nel mondo. Invece di recuperare il senso politico dell'integrazione, quelle leadership politiche continuano nel gioco delle reciproche accuse. Nel Sud si è ormai diffusa l'idea che l'Europa sia diventata tedesca, nel Nord che l'Europa sia troppo condizionata dai Paesi del Sud. In un articolo il ministro tedesco dell'Economia ricordava come alla direzione della Bce, della Commissione europea, dell'Ocse e dell'Fmi «troviamo rispettivamente un italiano, un portoghese, un messicano, una francese». È questo tipo di dibattito che sta affondando la Ue. Occorre fermarlo, ritornando ai fondamentali: qual è l'Unione che ci serve?

La risposta predominante finora è stata: l'Unione intergovernativa che il Trattato di Lisbona ha istituzionalizzato nel campo della politica economica e monetaria. Tale Unione emerse attraverso il compromesso realizzato a Maastricht nel 1992, in base al quale si decise che le politiche vicine alla sovranità statale (come quella economica e finanziaria) potevano essere portate a Bruxelles a condizione, però, che lì venissero gestite dai governi nazionali attraverso il loro volontario coordinamento. Allora la Germania non fu entusiasta di questa soluzione. L'accettò per assecondare la visione intergovernativa della Francia. Oggi, invece, quel compromesso si è dimostrato estremamente favorevole alla prima e assai di meno alla seconda. Fatto si è, comunque, che un'Unione intergovernativa è destinata ad accentuare l'influenza di alcuni governi (degli Stati grandi ed economicamente forti) e a ridimensionare quella di altri governi (degli Stati piccoli ed economicamente deboli). Proprio per offuscare questa sostanziale realtà di potere, l'Unione intergovernativa ha finito per dare vita ad una complessa struttura tecnocratica per la gestione dell'Eurozona che ha reso la gestione e la prevenzione delle crisi sempre più lontane dagli interessi e dalle richieste dei cittadini. Stupisce che un leader come Wolfgang Schäuble si dimostri così poco consapevole del fatto che l'Unione intergovernativa non può avere un futuro.

Alternativa debole

Ma le difficoltà in cui siamo derivano anche dalla debolezza dell'alternativa. Per quest'ultima l'Europa che ci serve è quella tradizionale dello Stato federale, organizzato intorno alla centralità del Parlamento europeo, con la Commissione europea che deve diventare espressione della maggioranza partitica di quest'ultimo. Ed infatti, i maggiori partiti si sono già impegnati a presentare i loro candidati per la presidenza della Commissione europea alle prossime elezioni (2014) del Parlamento europeo. Se l'Unione intergovernativa ha ristretto il circuito decisionale nella relazione tra il Consiglio europeo (dei capi di Stato e di governo) e il Consiglio (dei loro ministri), l'Unione parlamentare vuole restringere quel circuito alla relazione tra Parlamento europeo e Commissione europea. Nella prima prospettiva si sono persi per strada i cittadini (con le conseguenze che abbiamo visto), nella seconda prospettiva si vogliono perdere per strada gli Stati (con le conseguenze che si possono prevedere). Ma può un'Unione di 28 Stati membri, caratterizzati da profonde asimmetrie demografiche e da altrettanto profonde differenze culturali e linguistiche, oltre che economiche e politiche, trasformarsi in uno Stato parlamentare di tipo nazionale?

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È la debolezza delle due predominanti strategie sull'integrazione che ha sottratto all'Unione il suo futuro. È un dibattito preoccupato di difendere gli interessi di breve periodo, da un lato, e di celebrare la retorica federalista, dall'altro lato, che ha portato l'Unione al suo stallo. [[Non si può scegliere tra la tecnocrazia e l’utopia]]. Occorre ripartire dai fatti per ridefinire una strategia di integrazione capace di trovare un equilibrio più adeguato tra gli interessi degli Stati e quelli dei cittadini. Ciò di cui abbiamo bisogno è una leadership politica che vada oltre le due strategie, perché consapevole che un'unione intergovernativa non potrà mai diventare un'unione politica, ma anche che un'unione federale non coincide con uno stato federale.

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