Brennero, la nuova cortina di ferro

Il valico alpino al confine tra Austria e Italia è uno dei punti di frattura della politica migratoria dell’Ue: da una parte la polizia di Vienna cerca in ogni modo di bloccare i clandestini diretti a nord, dall’altra gli agenti italiani chiudono volentieri un occhio.

Pubblicato il 11 Ottobre 2013 alle 11:34

“Nein” taglia corto l'inflessibile gendarme austriaco con il suo collega poliziotto di qua del confine. “Die Flücthlinge bleiben in Italien”. Di qui non si passa.

Semaforo rosso, al confine del Brennero, per gli immigrati che vogliono scalare la Fortezza Europa. “Nein” vuol dire “nein”, punto. E non ci si può far muovere a compassione, perché le regole sono regole. Schengen o non Schengen. Soprattutto da queste parti.

Passo del Brennero, 1400 metri. La prima neve, tra un po', inizierà a spolverare le montagne. Lampedusa è a 1.836 chilometri di distanza, l'intero stivale: tanto è lunga la speranza di salire su, verso la Germania e la Scandinavia dal welfare spettacolare.

Una volta, questo sì che era un confine “vero”. Poliziotti, carabinieri, finanzieri, doganieri. Sbarre, recinzioni, telecamere. Mitra spianati, non sempre ma spesso. C'erano i controlli, ogni mezzo veniva fermato in frontiera. Ci voleva il passaporto. I poliziotti ti guardavano in faccia e decidevano se farti passare o perquisire la macchina. Poi, la svolta. Aprile 1988, Napolitano ministro dell'Interno alla cerimonia che abbatte le sbarre, per sempre. E così adesso, se non fosse per qualche cartello, non te ne accorgeresti neppure, di essere già finito in Austria.

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Di qui transitano 40 mila mezzi al giorno, che fanno 14 milioni e 600 mila all'anno di cui il 70 per cento tra auto e moto e il restante 30 per cento di traffico pesante. E chi li ferma, i migranti stipati dentro un macchinone (così ce ne stanno anche sei, più il passatore) o nascosti dentro un camion? Nessuno, è l'ovvia risposta.

Se si viaggia in treno, le cose cambiano, parecchio. L'Austria è diventata impermeabile, un po' come la Svizzera. E i suoi respingimenti costanti, senza alcun moto di pietà, sono la cartina di tornasole di quella Europa che non si cura dell'Italia, delle sue coste, dei “suoi” migranti. Noi, perlomeno, non espelliamo i soggetti vulnerabili: donne, bambini, vecchi, disabili. Vienna non ha alcuna clausola simile, nella sua legislazione. Ma ha in mano qualcosa di molto più importante: il trattato bilaterale con l'Italia – firmato nel 1996, ben prima della Bossi-Fini – secondo il quale il migrante-clandestino può essere “riammesso passivamente nel territorio da cui si presume essere arrivato irregolarmente”. Ovvero: sono tuoi, te li tieni. Lo stesso trattato che consente a Francia e Slovenia di respingere i migranti a Ventimiglia e Tarvisio, le altre due porte d'accesso oltre le Alpi. E, ancora, lo stesso trattato che l'Italia applica a sua volta per restituire alla Tunisia i suoi migranti: sempre paesi confinanti siamo, con il Mediterraneo nel mezzo.

Nella piccola stazione ferroviaria di Brennero transitano decine di convogli al giorno. La notte è riservata ai merci: sempre meno, i treni passeggeri. C'è la Polfer, la nostra polizia ferroviaria. Ma soprattutto, ci sono gli austriaci. In questi ultimi mesi, Vienna ne ha spediti qui a frotte. I gendarmi pattugliano i treni, “pescano” intere comitive di profughi, li sbarcano e li riportano al confine, restituendoceli. Pacchi postali nelle burocrazie d'Europa. Una volta, ai tempi dei curdi per i quali “Lamerica” era la Germania, viaggiavano nascosti nelle intercapedini dei vagoni ferroviari, sotto i teloni dei tir, dentro i camion frigo. Adesso, li trovi in stazione con regolare biglietto.

Qualche settimana fa si è sfiorato l'incidente diplomatico. Una ragazza nigeriana di vent'anni, prossima al parto, viaggia su un treno diretto a Monaco di Baviera. Si è lasciata alle spalle un campo d'accoglienza di Roma.

Ha un biglietto per Bonn, dove vivono alcuni suoi parenti. Al Brennero, incappa in una “trilaterale”. Sono le pattuglie istituite cinque anni fa: un agente della polizia ferroviaria italiano, un austriaco, un tedesco. Cooperazione transfrontaliera, la chiamano. Per l'italiano, la ragazza può proseguire. Ma il germanico dice no. E l'austriaco lo sostiene. Siamo però ancora sul nostro territorio. La decisione spetterebbe a noi. Nervi tesi, tesissimi. La ragazza è sotto stress, si sente male. Entra in travaglio. “Italiani brava gente”. Il poliziotto maledice in silenzio i colleghi e corre a cercare un'ostetrica. Dagli uffici della Polfer, un'ambulanza la porta d'urgenza all'ospedale di Vipiteno dove nasce Grace. È andata bene, stavolta.

“Bisogna rivedere gli accordi”, dice il questore di Bolzano, Lucio Carluccio. Solo negli ultimi tre mesi, l'Austria ha attuato 881 respingimenti. Quasi mille persone ricacciate a sud del Brennero. Un quarto erano minorenni. Metà siriani, poi soprattutto somali ed eritrei.

Figli della disperazione

Quando ce li rimandano indietro, la tensione sale altissima e il motivo c'è. [[I migranti che non vogliono fermarsi in Italia perché la loro meta è la Germania, o un qualunque altro paese, evitano accuratamente di farsi fotosegnalare in Italia]], perché se la domanda d'asilo viene presentata da noi, poi non possono più muoversi.

Sono fantasmi destinati a riapparire altrove. In Svezia, magari. “Dove puoi metterti subito a lavorare (in Italia devi aspettare sei mesi) e ti danno anche la casa”, sintetizza Andrea Tremolada di Volontarius, una onlus che in Alto Adige si prende cura dei profughi.

Se vieni respinto dall'Austria ti portano qui, nella casermona che ospita il commissariato di Ps del Brennero, proprio di fronte alla stazione. Ma a quel punto devono fotosegnalarti e sei fregato, perché le tue impronte finiscono nell'Eurodac, il database dell'area Schengen. Sei tracciato, un nome e un volto che corrispondono. Schedato in Italia, non potrai più riapparire magicamente in un altro Stato.

“Austria e Germania devo venire incontro all'Italia”, chiede la Caritas italiana. Dall'altra parte della sbarra invisibile e di questa nuova cortina di ferro, la consorella austriaca raccoglie fondi e distribuisce coperte. Il 30 agosto scorso, il ministro degli esteri di Vienna Michael Spindelegger ha annunciato che l'Austria, magnanime, è disposta ad accogliere 500 profughi siriani. Cinquecento, ma scelti con cura: “In prima linea donne, bambini e cristiani”. Testuale.

I figli della disperazione, come è ormai stanca di ripetere Laura Boldrini, non si fermano davanti a nulla. E ci riprovano, all'infinito. Fermati in treno, magari provano a valicare a piedi. Ricacciati indietro, trovano un passatore.

L'ultimo, qui, è stato arrestato il tre ottobre scorso. Un tassista milanese, pizzicato alla barriera autostradale di Vipiteno a bordo di un Fiat Ducato con nove siriani. Dice d'aver concordato 1300 euro in tutto. Balle. Dice d'aver agito in buona fede. Balle. “Rischia tre anni e mezzo per favoreggiamento dell'emigrazione clandestina”. Balle: un anno, un anno e mezzo al massimo, condizionale e non menzione.

Il gioco vale la candela. Specie se guidi un'auto a noleggio, così se va male eviti la confisca. O se fai parte della Rete, che aiuta soprattutto i profughi asiatici (afghani in primis) a muoversi facendo perdere le proprie tracce. La verità cinicamente sottaciuta è quella che il funzionario scafato ti sussurra sottovoce, guardandoti di sottecchi: “Ogni tanto fermiamo qualche passatore, ma perché dovremmo sbatterci? Alla fine sarebbero pure da ringraziare, perché ci tolgono dai coglioni un po' di questa gente”.

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