Silvio Berlusconi e Vladimir Putin a Zavidovo, nei pressi di Mosca.

Le relazioni pericolose

Alcuni dei documenti diffusi da WikiLeaks rivelano le inquietudini di Washington nei confronti del rapporto privilegiato tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin. Roma è davvero lo strumento di Mosca per influenzare la politica energetica europea?

Pubblicato il 9 Dicembre 2010 alle 14:35
Silvio Berlusconi e Vladimir Putin a Zavidovo, nei pressi di Mosca.

"Le risorse energetiche sono il piedistallo del potere da cui Vladimir Putin punta a condizionare la politica europea. La relazione personale con Silvio Berlusconi è funzionale a questo: inoculare corruzione negli altri paesi, dividere l'Europa, renderla vulnerabile al ricatto energetico della Russia. Il semi-monopolista del gas russo Gazprom fa tutt'uno con Putin, nulla è trasparente in quella sfera, la corruzione è endemica". L'accusa dell'alto funzionario e massimo esperto del Dipartimento di Stato per "Eurasia e questioni energetiche", Jeffrey Mankoff, rende manifesta la gravità del rapporto tra i due premier italiano e russo.

"Rapporto personale". Così lo definisce il dispaccio da Roma dell'ex ambasciatore repubblicano Ronald Spogli, il 12 agosto 2008, reso pubblico da WikiLeaks. In un crescendo di allarme, Spogli segnala alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato l'ipotesi che fra i due vi siano "rapporti di guadagno personale" (novembre 2008). Infine in una lunga relazione del 26 gennaio 2009, l'ambasciatore evoca "una torbida connection"; chiama in causa l'intermediario d'affari Valentino Valentini; descrive il presidente del Consiglio come "il portavoce di Putin".

Sostiene Mankoff: "Poiché i libri contabili di Gazprom non sono di dominio pubblico, la società è in grado di fare affluire pagamenti ai politici nei paesi "a valle", perché assecondino i piani della Russia. I progetti dei gasdotti, con miliardi di dollari di investimenti, sono il meccanismo privilegiato per una corruzione su vasta scala". E' la chiave delle ripetute pressioni di Hillary Clinton sulle due ambasciate americane a Roma e Mosca (l'ultima il 28 gennaio 2010). Il segretario di Stato chiede di indagare su "quali investimenti personali" uniscano Berlusconi a Putin.

Sono quattro le ragioni che lo impongono: 1. Il ruolo dell'Eni ridotto a strumento. 2. I dubbi sull'investimento anti-economico nel gasdotto South Stream. 3. La vicenda del "portage finanziario" italiano sulla Yukos. 4. Lo sconcertante allineamento filo-russo di Berlusconi sulla guerra in Georgia. Ecco gli elementi che accrescono l'inquietudine americana. La Clinton è convinta che "sia in gioco un interesse strategico e vitale degli Stati Uniti, la sicurezza dell'Europa occidentale". Washington avverte il rischio che un alleato storico della Nato come l'Italia sia scivolato su una china pericolosa. Non siamo più alla fisiologica divergenza di stagioni passate della politica estera italiana. E' una distinzione fondamentale e il Dipartimento di Stato vuole che sia percepita e compresa. Dall'Eni di Enrico Mattei alla Fiat di Valletta (Togliattigrad), per finire con Giulio Andreotti alla Farnesina, gli americani ricordano che l'Italia ha sempre avuto spazi di autonomia nelle sue iniziative verso la Russia o il mondo arabo. Tutto comprensibile alla luce della nostra posizione geografica, e per i condizionamenti politici interni come l'esistenza del più forte partito comunista dell'Europa occidentale (lo ricorda anche l'ambasciatore Spogli nei suoi rapporti). Era un gioco che non spaventava l'America perché si poteva interpretare - e quindi governare - con i criteri della geopolitica e della geoeconomia. Oggi il quadro è diverso.

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I sospetti che la relazione speciale Berlusconi-Putin abbia una dimensione extrapolitica, guidata dal "guadagno personale che fa premio", affiorano due anni fa. L'ambasciata di Via Veneto vi accende un faro. Il fatto che il presidente del Consiglio di un paese della Nato possa essersi fatto strumento del premier russo s'inserisce nello scenario disegnato da Mankoff di un "rischioso ritorno di Putin alla presidenza nel 2012", alla testa di un blocco di potere dominato da "esercito e servizi segreti anti-occidentali", sullo sfondo di una Russia che le informative dall'ambasciata Usa di Mosca descrivono come una "nazione mafiosa".

"Eurasian Energy Security", è il rapporto cruciale dove il Dipartimento di Stato suggerisce di cercare tutte le ragioni dell'allarme attorno al caso Berlusconi-Putin. Considerato come la Bibbia della strategia americana sui rapporti energetici tra la Russia e l'Europa, quel dossier è firmato da Jeffrey Mankoff per il Council of Foreign Relations, il think tank bipartisan che ha spesso ispirato la politica estera di amministrazioni repubblicane e democratiche. Mankoff lo mette a punto nel 2009 come Associate Director of International Security Studies all'università di Yale. In seguito torna a lavorare per il Dipartimento di Stato, con Hillary Clinton. Oggi si occupa proprio delle relazioni Europa-Russia.

L'analisi di Mankoff muove dal ruolo di Gazprom, "un'impresa che a tratti s'identifica con lo stesso governo russo, funzionale al disegno di Putin di gestire i rapporti con l'Europa giocando un paese contro l'altro". E' la strategia che Putin ha costruito pazientemente negli otto anni della sua presidenza, dal 2000 al 2008: "Il gas è diventato centrale come strumento di potere". Una strategia di cui l'Italia è un tassello decisivo perché "con la Germania rappresenta quasi la metà di tutte le importazioni di gas russo nell'Europa occidentale". Insieme, questi due paesi generano "il 40% dei profitti totali di Gazprom". Un colosso che, per la sua natura, si sottrae a "sistemi di regole trasparenti, controllo giudiziario e delle authority di vigilanza" dell'Unione europea.

Visto dall'America il pericolo è questo: "Per l'Europa la crescente dipendenza energetica da un singolo gruppo che coincide con un governo straniero solleva dei problemi di sicurezza, trasparenza, potenziale manipolazione politica". Chi, come l'Italia, finisce in una "intima relazione politica con Mosca rischia di assecondare i disegni di questa, a scapito dell'unità fra europei". Il sospetto che l'Eni sia stato trasformato in uno strumento nel rapporto tra Berlusconi e Putin, è legato ad alcuni passaggi decisivi nella "blindatura" del potere energetico in Russia. Mankoff ricorda come "durante il suo secondo mandato presidenziale, Putin ha accelerato in modo drammatico la concentrazione del business di petrolio e gas dentro i campioni nazionali Gazprom e Rosneft. Le imprese che appartenevano agli oligarchi privati, come la Yukos di Mikhail Khodorkovsky, sono state fagocitate". La stessa Yukos che fu oggetto di un portage finanziario da parte dell'Eni e dell'Enel. Pochi gruppi occidentali sono ammessi in questo gioco, osservano al Dipartimento di Stato, dove ricordano l'espulsione di Bp e Shell costrette a uscire dai loro maggiori investimenti energetici in Russia durante la presidenza Putin. Vedremo presto il ruolo che Berlusconi decide di assumere in questa spoliazione.

Una volta concentrato il suo impero energetico, dove politica e affari coincidono e solo gli stranieri docili sono ammessi, Putin passa alla seconda fase della strategia. "Si tratta - spiega Mankoff - di impedire l'accesso diretto dell'Europa alle risorse energetiche del Caspio, suddivise perlopiù tra Azerbaijan, Kazakistan, Turkmenistan. Riservare alla Russia il controllo sui corridoi di transito verso il Caspio, accentua una dipendenza dell'Europa. Questo ha conseguenze strategiche sulle relazioni atlantiche, espone i nostri alleati europei all'influenza di Mosca".

Ancora una volta questa strategia è affidata a "un piccolo gruppo di colossi di Stato come Gazprom, sprovvisti di ogni trasparenza". Ecco il nodo che interessa la Casa Bianca e la Clinton. Ecco la ragione per cui si vuole veder chiaro nei rapporti Eni-Gazprom, come sono andati evolvendosi sotto i governi Berlusconi. Ecco la leva degli interrogativi sulla proliferazione di società di intermediazione, senza una vera razionalità economica, possibili paraventi per l'erogazione di tangenti. E' il passaggio che inquieta nell'analisi di Mankoff capace di alzare il livello di diffidenza del Dipartimento di Stato: "La corruzione sistemica nel settore energetico russo inocula corruzione nella politica europea".

Legittima la domanda: chi ha ceduto a queste lusinghe, in quali modi? A Washington ricordano il caso dell'ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, cooptato come presidente del consiglio d'amministrazione del consorzio Nord Stream: il sistema di gasdotti voluto da Mosca, gemello settentrionale del progetto South Stream. Per quest'ultimo, Romano Prodi ha di recente rifiutato un'offerta analoga che gli era stata rivolta dai russi. Il Dipartimento di Stato ribadisce l'accusa principale rivolta dagli Stati Uniti: "Nord Stream e South Stream sono funzionali a rafforzare l'influenza della Russia in Europa. La nostra paura è rafforzata dagli indizi di corruzione che partono dal Cremlino". South Stream è in diretta concorrenza con il progetto Nabucco: solo quest'ultimo consentirebbe di aggirare la Russia. Se la scelta fosse affidata a criteri puramente economici, sarebbe semplice: "South Stream costa fino al doppio, rispetto a Nabucco", osserva Mankoff. E allora perché il coinvolgimento dell'Eni in un progetto anti-economico, si chiedono gli americani? Visti da Washington, i conti non tornano. E non tornano, come vedremo, anche per Eni.

Un colpo duro all'affidabilità del Nabucco viene dato nell'estate del 2008 dalla guerra tra Russia e Georgia: quel gasdotto per operare ha bisogno di stabilità in Georgia ed altre repubbliche ex-sovietiche. Perciò un punto di svolta nell'attenzione del Dipartimento di Stato verso Berlusconi coincide proprio con la guerra del 2008, e la posizione filo-russa presa dal premier italiano in divergenza con gli altri governi della Nato. E' il 15 novembre 2008. L'ambasciata di Via Veneto segnala a Washington una nuova soglia nel livello di agitazione degli americani. Bisogna dire di un antefatto: tre giorni prima il premier italiano ha dato spettacolo a una conferenza stampa in Turchia. "Ha accusato gli Stati Uniti di avere provocato la Russia con il riconoscimento del Kosovo, lo scudo anti-missili, l'invito a Ucraina e Georgia ad avvicinarsi alla Nato". Il dispaccio al Dipartimento di Stato indica che siamo "al culmine di un'escalation di commenti incendiari e dannosi a favore della Russia da quando Berlusconi è tornato al governo". L'ambasciata descrive Gianni Letta e Franco Frattini "sgomenti", i fedelissimi del premier confidano alla diplomazia americana: "Non ci ascolta, sulla Russia fa da solo".

Il rapporto segreto raccoglie per la prima volta il sospetto che "Berlusconi e i suoi accoliti abbiano rapporti di guadagno personale con l'interlocutore russo". E' a questo punto che i sospetti sulla "torbida relazione" diventano un problema strategico di primaria importanza per Washington. La criticità della guerra in Georgia dovrebbe aumentare la compattezza degli europei e rendere evidenti i rischi connessi a un'eccessiva dipendenza energetica da Mosca. Al contrario, l'Italia si smarca. Rompe la solidarietà atlantica. Si avvicina alla Russia. Siamo a una svolta. Il primo effetto è l'imperativo di saperne di più su quei sospetti di "investimenti personali tra Berlusconi e Putin", che possono diventare il motore delle scelte della politica estera italiana. Il pericolo lo abbiamo sotto gli occhi: l'Italia può trasformarsi in una pedina del grande gioco di Putin; il grimaldello per dividere o tenere divisa l'Unione europea, per avvantaggiarsi della debolezza dei singoli partner nei rapporti bilaterali. Osserva Mankoff: "La dipendenza dal semi-monopolio russo nel gas può mettere i singoli governi europei in una posizione in cui diventa impossibile resistere alle richieste politiche di Mosca". "La Russia - è la linea del Dipartimento di Stato - va integrata in un quadro trasparente di sicurezza energetica. Con regole certe, che limitino la possibilità di estrarre vantaggi politici unilaterali". E' l'opzione a cui fanno ostacolo le reti di interessi invisibili, oscuri intermediari, società-ombra, e gli "investimenti personali" su cui la Clinton si ostina a volere fa luce. E' quello di cui ora ci si deve occupare.

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