Attualità Calcio e politica (2/2)
Orbán alla partita Videoton-Bâle. Székesfehérvár, ottobre 2012

Viktor Orbán, il direttore di gioco

La nazionale ungherese non si è qualificata ai mondiali del 2014. Un vero smacco per il premier che usa lo sport per affermare il suo modello sociale e il suo potere personale.

Pubblicato il 14 Novembre 2013 alle 12:57
Orbán alla partita Videoton-Bâle. Székesfehérvár, ottobre 2012

Nel secolo scorso i regimi ungheresi di Miklós Horthy e János Kádár, dopo aver consolidato il loro potere con metodi sanguinari, focalizzarono tutta la loro attenzione sul mantenimento di una causa nazionale che garantisse loro l’appoggio di una base sociale. Il primo si diede la missione di ristabilire l’onore di una nazione umiliata dal trattato di Trianon e dalla nuova configurazione delle frontiere. Il secondo si dedicò alla lotta contro la povertà e l’ineguaglianza.

Né a Horthy né a Kádár venne però in mente l’idea di utilizzare il potere per il proprio piacere personale, in ragione dell’educazione del primo e del puritanesimo e dello spirito comunista del secondo. Il reggente della monarchia ungherese si dilettava con la caccia. Il segretario generale della Democrazia popolare ungherese amava giocare a scacchi. Il piacere dei due autocrati non influì sull’esercizio del loro potere, e vi si poterono dedicare senza secondi fini.

Oggi invece il regime di Orbán cerca di soffocare la libera concorrenza in tutti i campi della società: non soltanto nei rapporti primari con il potere, ma anche nelle domande di sovvenzione all’Ue, nelle arti, nella distribuzione delle autorizzazioni alla vendita di tabacchi, nei sussidi all’agricoltura, dappertutto.

E così è anche per il calcio. Il numero uno di questo stato mafioso post-comunista adora a tal punto lo sport da non sopportare un’onesta rivalità, il fair-play. Dato che è considerato il salvatore e il benefattore del calcio dai calciatori, dai dirigenti e dai tifosi, [[negli stadi si sperimenta con metodi quasi clinici il modello di struttura sociale auspicato da Orbán]].

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Questo politico mafioso e amante dello sport ha trasformato il mondo del calcio ungherese a immagine del modello da lui auspicato. La struttura sociale degli stadi riflette un’immagine parziale, ma in ogni caso genuina, del mondo esterno.

Dall’estate del 2010 le trasmissioni delle partite di calcio sull’emittente televisiva di stato insistono sulle sue caratteristiche principali. Una rappresentazione parziale, dato che mancano i “cittadini subordinati” (quelli che in precedenza si chiamavano cittadini o lavoratori). Per loro non c’è posto nelle tribune dei vip, sono disgustati dai tifosi primitivi e non vanno neanche più alle partite. È per questa ragione che il numero degli spettatori negli stadi diminuisce malgrado la campagna della propaganda nazionale (nel 2012-2013 il numero degli spettatori è calato a 2.700 contro i 3.600 dell’anno precedente).

L’esiguo numero degli spettatori si spiega anche con il fatto che il calcio dello stato mafioso non è considerato parte del settore dell’intrattenimento come accade nelle economie di mercato. Ciò che si fa negli stadi secondo il regime collettivista ungherese non è divertimento, ma lavoro educativo.

I telespettatori apprendono che il punto focale, il più importante della potenza ungherese, è la tribuna dei vip, che soltanto i privilegiati del regime possono frequentare. Dopo le trasmissioni televisive nessuno può più sbagliarsi su chi sia la persona più importante dell’universo: Viktor Orbán occupa un posto così centrale che sembra Gesù nel Cenacolo di Leonardo da Vinci.

Quando il primo ministro ungherese si presenta disteso e rilassato in un punto fisicamente separato dagli altri spettatori, in compagnia del presidente della repubblica, del presidente dell’assemblea nazionale, del procuratore generale, dei membri di governo, degli amministratori delegati e degli uomini d’affari più influenti e più ricchi del paese (Csányi, Hernádi, Demján), del giudice della corte costituzionale, del vicepresidente del dipartimento di controllo dello stato ungherese, dell’ex presidente dell’accademia ungherese delle scienze e di altri personaggi molto in vista, ciò dimostra da un lato che gli attori sprovvisti di un potere autentico accettano questo dato di fatto e dall’altro che le tribune dei vip costituiscono un’entità a parte, che non ha niente in comune con il mondo degli inferiori e degli stranieri.

Il capo della mafia non ritiene inaccettabile il forte legame dei tifosi con l’estrema destra. L’entusiasmo che circonda i colpevoli di crimini di guerra, le regolari dimostrazioni razziste, l’istigazione continua all’odio contro i paesi vicini e le azioni violente dispiacciono soltanto se danno luogo a una condanna (effettiva o prevista) da parte di una federazione ungherese o internazionale.

Intelligenza calcistica

Orbán, “calcisticamente intelligente”, non ha mai dato suggerimenti a questo riguardo: quando la Fifa ha condannato l’Ungheria a giocare a porte chiuse con la Romania in una partita valida per le qualificazioni ai mondiali di calcio 2014 – a causa degli incidenti provocati dai suoi tifosi durante una precedente partita giocata contro Israele a Budapest – Orbán ha reagito con parole lapidarie: “È meglio che tenga per me le mie opinioni”. Se si trova costretto a esprimere una lieve disapprovazione, lo fa per mezzo di un basso dirigente di famiglia. Per esempio Gábor Kubatov, direttore del partito Fidesz e presidente della squadra di calcio Ferencváros – che negli anni novanta aveva fatto parte della tifoseria estremista della squadra e ha legami con gang criminali – ha disapprovato uno striscione che faceva riferimento a László Csatáry [un criminale di guerra nazista ungherese] soltanto perché temeva sanzioni contro la squadra.

[[Il calcio è diventato una delle discipline sportive meglio sovvenzionate nell’Ungheria di Orbán]]. Il successo riportato nel calcio giustificherebbe nettamente la superiorità del Sistema di cooperazione nazionale (l’alleanza tra il partito Fidesz di Orbán e il partito cristiano-democratico Kdnp, basato sullo slogan “lavoro, casa, famiglia, sanità e ordine”) rispetto alla democrazia liberale occidentale decadente.

La convinzione di Orbán secondo cui esiste un rapporto mistico tra l’oggetto della sua passione e i magiari l’ha aiutato a far piazza pulita una volta per tutte delle opinioni della maggioranza. Egli, per esempio, ha affermato che “il calcio è una disciplina sportiva nazionale, e noi possiamo giocare soltanto nel modo peculiare e caratteristico degli ungheresi”. Oppure: “La nazione ungherese è una nazione calcisticamente intelligente, il calcio ci si confà”. (Magyar Nemzet, 3 settembre 2010).

Secondo Orbán la genialità dei magiari si manifesta al meglio sul campo di calcio. Egli giustifica il deterioramento del calcio ungherese degli ultimi decenni con il sabotaggio effettuato dalla dirigenza comunista dopo il 1956. Quando l’Ungheria tornerà a essere guidata da forze che sosterranno il calcio, l’ordine mondiale – in virtù del quale noi siamo i più grandi – sarà ristabilito. Anche se la Grande Ungheria non esiste più, l’Ungheria avrà il meritato status di grande potenzia mondiale del calcio. “Torneremo tra le più grandi nazioni del calcio”, ha detto Orbán. L’Ungheria è una nazione mondiale, merita la gloria. Ma per questo le servirebbe una Fata Morgana.

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