Il papa straniero

Il 25 novembre Francesco riceve il presidente russo Vladimir Putin. Un altro segno della crescente distanza che separa il vecchio continente dal primo pontefice extraeuropeo e dalla chiesa del futuro.

Pubblicato il 25 Novembre 2013 alle 12:47

Il 25 novembre Vladimir Putin verrà a Roma, in Vaticano, per incontrare il Papa. Sarà un incontro diverso, presumibilmente, da quelli che il presidente russo ha avuto con i due Papi precedenti, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Al di là degli altri significati che la visita potrà assumere, soprattutto per i futuri rapporti fra Cattolicesimo e Cristianesimo ortodosso, sarà anche l’incontro fra due uomini che, l’estate scorsa, si sono scoperti alleati contro gli Stati Uniti (e contro la Francia) nella vicenda siriana. Mentre l’ondeggiante Obama sfogliava la margherita per decidere se intervenire militarmente o no al fine di punire il siriano Assad per l’uso delle armi chimiche, Putin e Francesco agivano in piena sintonia per bloccare l’intervento americano. Il Papa spinse la polemica fino al punto di ipotizzare che la guerra civile in Siria fosse alimentata ad arte da coloro che guadagnavano vendendo armi. E intendeva soprattutto l’Occidente, assetato di profitti.

C’è urgenza in Europa di riflettere su cosa significhi, per l’Europa stessa, oltre che per l’Occidente nel suo insieme, un Papa che viene da un mondo molto diverso dal nostro. Un Papa che unisce, rispetto all’Europa, in modo paradossale, diversità culturale e una grande capacità di suscitare attenzione, attrazione e anche entusiasmi.

Il rapporto fra il Papa e il suo gregge, e il suo tentativo di riformare in profondità la Chiesa di Roma, riguardano il mondo cattolico e, da parte di chi non appartiene a quel mondo, possono solo essere osservati con rispetto. Ma il rapporto del Pontefice con l’Europa riguarda tutti gli europei. Così come li riguardano i mutamenti geopolitici in atto, di cui un aspetto, e forse fra i più importanti, è proprio l’ascesa di Bergoglio al soglio pontificio.

Si può dire che l’arrivo di un Papa che viene dall’America Latina sani una anomalia che, nel corso dei decenni, era diventata sempre più evidente e sempre più acuta. Mentre il Cattolicesimo si diffondeva e si irrobustiva fuori dall’Europa, esso arretrava vistosamente proprio in quello che era un tempo il cuore della Respublica Christiana . L’Europa è certamente il continente in cui la secolarizzazione (sotto forma di scristianizzazione), nel corso dei decenni, ha più scavato in profondità. Da questo punto di vista, rispetto al resto del mondo (Stati Uniti inclusi), l’Europa è una eccezione. A questo arretramento del Cattolicesimo, e del Cristianesimo in genere, nel Vecchio Continente, corrispondevano però il loro vigore e la loro perdurante vitalità nelle aree extraeuropee. Al punto che alcuni sociologi delle religioni ipotizzano che il Cristianesimo, continuando il trend in atto, sarà molto presto, quasi esclusivamente, una religione extraeuropea. È in questo senso che l’elezione di Bergoglio ha sanato una anomalia.

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Ma naturalmente, in quella elezione, c’era anche un significato geopolitico più ampio. Era il segno, e la presa d’atto, del drastico ridimensionamento in corso del peso del mondo occidentale negli equilibri mondiali. A vantaggio dei mondi extraoccidentali emergenti. È normale che un uomo di Chiesa, Papa o semplice sacerdote che sia, innervi la sua visione cristiana anche di valori e idee che sono propri della società da cui proviene. Ed [[è un fatto che la terra in cui Bergoglio si è formato abbia una tradizione lontanissima da quella dell’Europa liberale]]. È questa circostanza che, nel corso del tempo, potrebbe creare più di un problema nel rapporto fra questo Papa e l’Europa: un mondo che egli conosce poco e quel poco, per quel che si capisce dalle sue parole, non gli piace granché.

La grande forza del Cattolicesimo è sempre stata quella di unire la potenza del suo messaggio universalistico di salvezza alla capacità di valorizzare le esperienze e le specificità locali. Quando i Papi erano italiani, le altre Chiese cattoliche europee combinavano sapientemente la fedeltà al Vescovo di Roma e la valorizzazione delle peculiarità nazionali. In presenza dei Papi europei, le Chiese extraeuropee, facevano, come era giusto che fosse, la stessa cosa. E ciò accadeva anche durante il Pontificato di Giovanni Paolo II, il cui carisma non era certo inferiore a quello di Bergoglio. Allora, però, quelle Chiese extraeuropee erano la «periferia» mentre il centro del Cattolicesimo era ancora saldamente in Europa. Oggi è l’Europa che scivola verso la periferia, trattenuta solo dal fatto che la sede fisica del Papato resta a Roma. Per i cattolici europei (ma, in realtà, per tutti gli europei) è una situazione inedita.

Spetterà alle diverse Chiese nazionali, quella italiana compresa, di valorizzare, agli occhi del Pontefice, quanto di buono, e di peculiare, di irriducibile ad altre esperienze c’è nella tradizione europea. Senza di che, sarebbe difficile immaginare, in futuro, durevoli consonanze e sintonie fra la Chiesa e l’Europa. Né la prima troverebbe facilmente le strade per contrastare, della seconda, la secolarizzazione. Al di là della simpatia che oggi questo Papa suscita, il suo messaggio universalistico potrebbe alla lunga infrangersi contro le barriere e i fossati, forgiati dalla storia, che separano l’Europa dagli altri mondi.

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