Attualità Dieci sguardi sull’Europa | 6

I travagli della maturità

L'Ue si comporta come un'adolescente complessata che non vuole accettare il passaggio all'età adulta e i cambiamenti che comporta. Per superare questa crisi d'identità bisogna passare dalla logica dell'"io" a quella del "noi".

Pubblicato il 28 Dicembre 2010 alle 23:20

Qualche mese fa discutevo nella metro con un diplomatico estone. Sostenevo che l'Europa è sempre stata il continente dell'utopia, ma oggi niente la fa più sognare. Un parigino si è girato verso di me e mi risposto: "L'Europa? Un'utopia? Andiamo! È solo un club di padroni che ingrassano alle spalle della povera gente".

Un frammento di conversazione nella rete di trasporti o la lettura di un quotidiano qualsiasi mostrano che l'Europa ha un problema, prima di tutto con sé stessa. Tutti i mezzi di comunicazione ci fanno partecipi dello psicodramma quotidiano di un'Europa che fatica a uscire dall'adolescenza. Considerando il lungo periodo l'Europa politica è appena uscita dall'infanzia. Sessant'anni di storia, ovvero meno della durata del regno di Luigi XIV. Quella di oggi è un'Europa appena adolescente, che si accorge improvvisamente che il suo corpo è cambiato da quando era la piccola Europa dei sei. È cresciuta ed è diventata un adulto mondiale, con le sue responsabilità. Questa crisi adolescenziale è una delle cause del divorzio tra i cittadini e il progetto europeo.

L'Europa fatica ad accettare le sue nuove dimensioni. Non ha mai veramente scelto di crescere. Al contrario, è stata costretta dalla storia e dalla caduta del muro. Oggi si ritrova a essere troppo grande, troppo complicata. Da un lato è tentata di annullare questa crescita rapida. Alcuni intellettuali francesi come Max Gallo sostengono l'idea di un "putsch franco-tedesco" e di un'alleanza con la Russia sulla testa degli stati membri più piccoli. Dall'altra parte l'Europa si dibatte nelle soffocanti scaramucce per decidere da quanti funzionari sarà composto il nuovo servizio europeo di azione esterna invece di concentrarsi sulla missione del nuovo organo. Ogni confronto sull'azione viene subito trascinato nelle paludi di un dibattito sui mezzi. L'Unione sembra aver perso la fiducia in sé stessa e il gusto per l'avvenire, come dimostra la cacofonia su Europa 2020.

Eppure l'Europa è la sola a trovarsi così brutta. Ovunque nel mondo gli intellettuali dichiarano il loro amore per il modello europeo e invocano il ruolo che il continente dovrebbe avere nel nuovo scacchiere mondiale. In Europa, invece, il nostro egocentrismo malato ci impedisce di andare avanti. Mentre Cina, India, Stati Uniti, Brasile e persino l'Africa hanno fiducia in sé stessi, l'Europa sembra paralizzata dalla paura. Rimpiange l'Europa nana che viveva al riparo del muro, protetta dagli Stati Uniti.

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Cuore e testa

La crisi ha grippato i due motori della costruzione europea, la solidarietà e la ricerca dell'efficacia. Da una parte i capi di stato chiedono a Bruxelles se devono aiutare questo o quel paese in difficoltà. Dall'altra non accettano di farlo se non attraverso meccanismi complicati, cercando di mantenere l'indipendenza di ciascun organo. Ora, quando un membro viene attaccato è tutto il corpo che è in pericolo. Ma la testa (il Consiglio europeo) si chiede se è saggio intervenire, e il cuore (la Commissione) sembra aver smesso di battere e di creare nuove idee e nuovi impulsi per il corpo intorpidito dell'Europa. Bisogna smetterla di guardarsi l'ombelico e pensare di nuovo all'Europa come un "noi". La crisi continentale del'"io" è provocata dalla crisi di 27 piccoli "io".

L'Europa ha un rapporto complicato con sé stessa, e di conseguenza vive una relazione complicata con gli altri. Tuttavia non ha motivo di chiedere scusa per essere ciò che è, nemmeno a chi bussa alla sua porta. Anziché rispondere con voce timorosa "Chi è?", ci piacerebbe che l'Europa dicesse "Sì, cosa posso fare per voi?" In effetti gli europei ossessionati da sé stessi e dai loro problemi monetari dimenticano che si può costruire qualcosa anche con qualcuno che non ci somiglia per niente. Ora, non chiediamo mai ai turchi, ai serbi o agli islandesi quale è l'Europa dei loro sogni. Quali saranno le loro priorità una volta nel club? Come si immaginano l'Europa nel mondo tra 50 anni?

Quello che manca oggi agli europei è un grande progetto. Si potrebbe dire addirittura che manca un'utopia. Le sfide non mancano: pacificare le relazioni internazionali come si è riusciti a pacificare le relazioni interne, essere un attore di primo piano nello sviluppo sostenibile o costruire la grande economia solidale della conoscenza del domani. Ma bisognerà darsi una mossa.

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