Per lo spazio Schengen, i passaggeri sono pregati di attendere ancora un po'. Metropolitana di Bucarest.

La peccatrice e il club degli egoisti

Il rifiuto da parte dell’Ue di integrare la Romania nell’area Schengen segna il fallimento della classe politica locale. Ma anche di una certa idea di Europa, afferma il quotidiano Adevărul.

Pubblicato il 13 Gennaio 2011 alle 08:54
Per lo spazio Schengen, i passaggeri sono pregati di attendere ancora un po'. Metropolitana di Bucarest.

Che nessuno minimizzi il fallimento di Schengen! Faremmo meglio ad ammettere che, dagli ultimi anni del regime di Ceauşescu e dalle “mineriadi” dell’epoca di Ion Iliescu (quando i minatori entrarono a Bucarest per reprimere le manifestazioni del 1990), la Romania non aveva mai patito una mancanza di credibilità altrettanto preoccupante sullo scenario europeo. Come siamo arrivati a questo punto? È semplice. Pensavamo che, una volta ammessi nel club europeo, avremmo potuto trascurare gli impegni presi. Dopo tutto non ci avrebbero certo potuto buttare fuori.

Dopo il primo gennaio 2007, le autorità politiche romene – il presidente Traian Băsescu con i suoi alleati, il primo ministro dell’epoca, Călin Popescu-Tăriceanu, ma anche i dirigenti dell’opposizione – hanno messo in disparte il progetto europeo per dedicarsi esclusivamente ai regolamenti di conti interni. Hanno complottato per destituire il capo dello stato e si sono lanciati in campagne elettorali prive di contenuti, ma enormemente costose.

Il presidente, in particolare, ha rilasciato dichiarazioni spettacolari, a uso interno, che hanno irritato i nostri partner europei. La Romania si è lasciata andare alla deriva, seguendo la corrente, ed è stata colpita da una crisi grande quanto l’iceberg del Titanic.

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E oggi, chi si prende ancora la briga di osservare i cambiamenti in atto in Europa? Sotto la pressione della crisi economica e di un crescente sentimento di ostilità verso gli immigrati, gli stati dell’Ue più forti sono diventati cinici ed egoisti. L’espansione, l’integrazione europea e la moneta unica ormai sono considerati i responsabili dei problemi attuali da un numero crescente di elettori occidentali, che si lasciano sedurre dalle parole di un’estrema destra in piena ascesa.

I partiti tradizionali di centrodestra, al potere nella maggior parte degli stati più potenti dell’Unione, fanno sempre più concessioni alle formazioni populiste, anche perché temono di subire la stessa sorte dei socialdemocratici, ai quali la sinistra ha strappato numerosi elettori, in un panorama incupito dalla crisi e dalle misure di austerità.

Avete fatto caso, però, che gli stati che più di altri nutrono astio verso la Romania sono guidati da partiti della medesima famiglia di chi governa a Bucarest? I loro leader cercano di dimostrare agli elettori che sanno punire i “colpevoli” dei problemi europei. La Romania è la vittima ideale. In effetti, è molto pericoloso introdurre criteri politici, soggettivi, laddove dovrebbero avere la priorità, invece, le valutazioni tecnici: come dovrebbe essere per l’adesione all’area Schengen.

Se domani opinioni simili dovessero estendersi a tutta l’Ue, saremmo perduti. Ma a essere in pericolo è l’Unione europea stessa. Un’Europa in cui le regole sono in balia dei diktat dei potenti, che agiscono in funzione dei loro interessi, è di fatto un’Europa divisa, ostile, terreno di scontro e non di pace e di prosperità. La storia lo ha già dimostrato.

Degli uomini di stato dotati di lungimiranza avrebbero avvertito col debito anticipo questa pericolosa tendenza e avrebbero fatto di tutto per ridurre al minimo le conseguenze per la Romania. Adesso, però, possiamo prendere atto di quello che i nostri politici hanno fatto. Quando decideremo di darci da fare, di ricostruire un'immagine positiva del paese e di cambiare il nostro futuro in Europa, dovremo ripartire da qui. - Traduzione di Anna Bissanti

Contrappunto

Il richiamo delle sirene nazionaliste

Il rinvio dell'ingresso della Romania nello spazio Schengen ha suscitato un soprassalto di orgoglio nazionale nella classe politica e su alcuni giornali. "Siamo romeni", afferma un editorialista di Jurnalul Naţional, riprendendo una vecchia canzone nazionalista. "E questo è un bene", aggiunge. "È la mia opinione. E anche quella di altri, di quelli che non ascoltano le sirene dello spazio Schengen". "Non si tratta del rinvio del nostro ingresso, ma del fatto che noi non apparteniamo a quello spazio", spiega il giornalista. "Cosa voglio veramente? Sentirmi come nel giardino di casa mia quando sono in Francia? In Italia come nella mia camera da letto? In Germania come se mi trovassi in salotto? Non funzionerà, fratelli miei. Perché noi siamo romeni. Dentro Schengen o no, siamo sempre gli stessi. E questo è un bene. Io sono a mio agio con il mio paese. E questo significa anche che posso dire quello che penso di noi romeni, come dei bulgari o, perché no?, degli austriaci". Citando un'altra strofa della canzone, il giornalista conclude così: "Qui noi siamo padroni". E poi aggiunge: "E abbiamo eletto dei rappresentanti pessimi"

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