Doganieri poplacchi controllano una famiglia cecena alla stazione di Terespol (Polonia).

Gente di Dublino II

Dopo l'adozione del regolamento europeo, gli aspiranti rifugiati sono costretti a un interminabile calvario che nella grande maggioranza dei casi si rivela inutile. E i paesi alle frontiere dell'Ue devono farsene carico al posto dei membri più ricchi.

Pubblicato il 18 Gennaio 2011 alle 12:35
Doganieri poplacchi controllano una famiglia cecena alla stazione di Terespol (Polonia).

Lei si ricorda del mercato di Tours, in un giorno di sole dell’agosto 2008 – "Era così allegro, così lindo!" – e a lui sfugge una risata. Lei si rammenta del parco dove hanno passeggiato con i loro amici, altri ceceni arrivati in Francia dalla Polonia qualche anno prima. All’epoca era incinta. Credeva di essere fuori pericolo. Ma la loro felicità non è durata a lungo, prima che la loro vita fosse sconvolta di nuovo. Non con le pene dell’inferno, ma con l’ordinario vagabondaggio di chi si vede respingere la richiesta d’asilo.

In pochi giorni Karina, 25 anni, e Ruslan, 27, sono entrati a far parte dell’esercito invisibile degli zombie d’Europa. La colpa è loro, o quasi. Non sono stati loro forse ad andare a registrarsi di persona alla prefettura di Tours, ritornandovi addirittura qualche giorno dopo, su invito, per “ritirare i loro documenti”?

Di quello che è accaduto in seguito si rammentano bene, come fosse accaduto ieri: i poliziotti in borghese che spuntano dal nulla accanto agli sportelli, la notte trascorsa in commissariato, le automobili della polizia sulle quali sono stati fatti salire all’alba, le manette, l’aeroporto di Roissy, la fine del sogno. Karina non sorride più. Varsavia adesso è a mezz’ora di macchina da qui. La Francia è lontana anni luce.

Sono stati i poliziotti di Tours a rivelare loro il nome della loro disgrazia: Dublino. Nel 2003 la capitale irlandese ha prestato il suo nome al regolamento detto appunto “Dublino II”, una normativa che si applica a tutti i paesi dell’Unione europea e stabilisce che il paese di ingresso – vale a dire il primo paese dell’Ue nel quale mette piede uno straniero che presenta domanda di asilo – è responsabile della pratica.

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Se al momento in cui il suo caso è preso in esame egli non si trova in quel paese, vi deve essere riportato. Ruslan sorride con espressione triste e sbotta: “Credevamo che il peggio fosse passare la frontiera ed entrare in Francia. Non avevamo capito nulla.”

La casa bassa, circondata da un prato, nel quale la coppia è finita a vivere insieme al figlioletto è situata in aperta campagna, a ovest di Varsavia. Hanno preso in affitto una camera minuscola, ma molto costosa. Nella casa vivono altri due nuclei famigliari ceceni. In Polonia i “dublinanti”, come sono chiamati nell’ambiente dell’Ue, sono svariate migliaia.

Ecco dunque che i “dublinanti” si ritrovano alla casella di partenza, punto e a capo, per aver cercato di risiedere altrove nell’Europa occidentale ed essersi fatti beccare. In testa hanno un’idea sola: ripartire. La Polonia, entrata nell’area Schengen nel 2007, “è soltanto un paese di transito per i migranti”, spiegano Krystyna Iglicka (del Centro di relazioni internazionali di Varsavia) e Magdalena Ziolek-Skrzypczak (dell’Università Ludwig-Maximilian di Monaco), in un loro studio sull’immigrazione in Polonia pubblicato dal Migration Policy Institute (MPI).

L'adesione a Schengen è un “imbroglio” che è servito soprattutto a inasprire i meccanismi repressivi, aggiunge la ricercatrice polacca Paulina Nikiel, nel rapporto dell’associazione Migreurop “Alle frontiere dell’Europa”. La chiusura delle frontiere fa della Polonia uno “stato cuscinetto”, destinato a diventare un “paese d’arrivo” come il Marocco, dove sono bloccati parecchi aspiranti a emigrare.

La Polonia è un paese “più povero della Francia, del Belgio o della Germania” osserva Anna Kuhn, presidente del comitato Polonia-Cecenia. Benché l’accoglienza degli stranieri e in particolare dei rifugiati abbia fatto notevoli passi avanti nel corso degli ultimi cinque anni, la loro situazione è ancora difficile.

Tre su mille

Nei centri di accoglienza vige un regime simile a quello di un carcere. “La libertà di movimento è ridotta ai permessi per andare in bagno e a un’ora d’aria al giorno”, dice Nikiel. Quelli che finiscono in centri di questo tipo, dove vivono “famiglie intere, minori compresi”, sono persone prive di documenti o richiedenti asilo, colpevoli di aver attraversato clandestinamente la frontiera. Al termine del loro soggiorno, che può durare fino a un anno, si ritrovano tutti per strada.

Nel 2009 sono stati registrati oltre 10.500 richiedenti asilo, ma sono pochi i fortunati che ce la fanno. “Dal 1992 al 2009 soltanto 3.113 di loro hanno ottenuto lo status di rifugiato”, ovvero il 3,5 per cento del totale, precisano Iglicka e Ziolek-Skrzypczak. I miracolati vengono dalla Cecenia, dalla Bosnia-Erzegovina, dalla Somalia, dalla Bielorussia, dall’Afghanistan, dallo Sri Lanka e dall’Iraq. Quanto ai georgiani, oltre quattromila di loro hanno presentato domanda d’asilo alla Polonia nel 2009, ma nessuno l’ha ottenuto. Non stupisce quindi che molti migranti preferiscano sfidare la sorte più a ovest, finendo per ingrossare le fila dei “dublinanti”.

“La Francia e l’Austria sono stati i primi paesi a respingere in massa i ceceni in Polonia”, dice Issa Adayev, che a Varsavia ha appena inaugurato un centro di accoglienza per i rifugiati. Secondo questo militante ceceno, i “deportati ceceni a Mosca” non sono più una rarità e molti di loro sarebbero “scomparsi”.

Varsavia non vuole certo accollarsi le responsabilità del regime di Vladimir Putin, non più delle altre capitali dell’Ue, come Parigi, Vienna o Bonn. Molto tempo è passato da quando il ministro francese dell’immigrazione Brice Hortefeux comunicò ai prefetti che “non era auspicabile una espulsione verso la Polonia in nome del regolamento di Dublino”, tenuto conto della situazione in Cecenia. Era il luglio 2007, un anno prima che Ruslan e Karina si mettessero in viaggio. E che il governo francese facesse dietrofront. (traduzione di Anna Bissanti)

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