Bruxelles, 24 gennaio: Islam Karimov (a sinistra) e José Manuel Barroso.

Karimov, il nostro uomo a Tashkent

Con i dittatori l'Europa usa due pesi e due misure: sanzioni per il bielorusso Lukashenko, mano tesa al presidente uzbeko Karimov. Ma come dimostra la caduta di Ben Ali, le amicizie sbagliate possono costare care.

Pubblicato il 24 Gennaio 2011 alle 08:07
Bruxelles, 24 gennaio: Islam Karimov (a sinistra) e José Manuel Barroso.

Il 24 gennaio il dittatore uzbeco Islam Karimov è arrivato a Bruxelles per partecipare a delle riunioni con il Consiglio europeo, il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso e i vertici Nato. Difficilmente si potrebbe immaginare un contrasto più grande fra le attenzioni riservate a Karimov e lo status di paria riservato ad altri autocrati, come il bielorusso Aliaksandr Lukashenko.

I media non vi hanno prestato molta attenzione, ma nel marzo 2007 l'Uzbekistan ha avuto la sua versione di Mohammed Bouazizi, il giovane disoccupato tunisino che si è immolato per protesta nello scorso dicembre. Hashida Aripova, una vedova di 38 anni che aveva un piccolo banco al mercato della città di Djizak, si è data fuoco per disperazione dopo che la polizia aveva sequestrato la sua merce. Ma la fine atroce di Aripova non ha provocato proteste su grande scala come in Tunisia, per una semplice ragione: solo due anni prima ad Andijan centinaia di manifestanti erano stati uccisi dalle truppe scelte di Karimov. Gli agenti che avevano arrestato Aripova sono stati sospesi. Ma in Uzbekistan le circostanze sociali che hanno contribuito all'incidente sono sempre d'attualità.

Nel 1989 Karimov ha preso la guida del Partito comunista di quello che all'epoca era ancora l'Uzbekistan sovietico. Dall'indipendenza ottenuta alla fine del 1991, Karimov dirige uno degli stati di polizia più sinistri dell'Eurasia. I settori chiave dell'economia, dal cotone al gas naturale fino ai mercati locali, sono nelle mani della famiglia del presidente, dei suoi collaboratori e dei loro satrapi locali, che usano gli organismi statali e la giustizia per consolidare i loro monopoli. "Le conquiste sociali del comunismo sono scomparse, ma lo stato di polizia e i dirigenti dell'era sovietica sono ancora al loro posto", afferma una fonte locale. La maggioranza della popolazione vive una realtà che sfugge ai turisti affascinati dall'architettura storica di Samarcanda e alle delegazioni dei diplomatici stranieri.

Dopo il massacro di Andijan, l'Ue ha imposto un embargo sulle armi e a diversi alti responsabili dei servizi di sicurezza è stato vietato l'ingresso in Europa. Ma queste misure non sono state prese sul serio. E oggi è lo stesso padrone del paese a essere accolto in Europa. Il suo paese trabocca di petrolio e gas naturale, e le risorse, insieme al cotone e al supporto nella cosiddetta guerra al terrorismo, fanno parte di quella cortina di fumo di cui il regime si circonda da anni per far credere al mondo esterno che quest'ultimo ha più bisogno dell'Uzbekistan e del suo regime che viceversa.

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Come Ben Ali in Tunisia, Karimov gode del beneficio del dubbio perché tiene a bada "gli islamisti". Non è vero che i movimenti integralisti sono un'invenzione del regime, coome sostengono alcuni. Ma i gruppi islamisti armati, che si facevano vivi di tanto in tanto dalla fine degli anni novanta, non hanno mai goduto del sostegno della popolazione. Molti oppositori presi di mira dall'"antiterrorismo" di Karimov sono in realtà musulmani stanchi della situazione sociale e degli abusi di potere. La lezione della Tunisia, che si può applicare anche all'Uzbekistan, è che i musulmani possono arrabbiarsi anche senza che ci sia dietro un complotto islamista.

Aspettando la transizione

L'Uzbekistan rappresenta inoltre un elemento fondamentale nella lunga catena di rifornimento delle truppe Nato nel vicino Afghanistan. Anche se la cooperazione con il regime uzbeco è tutt'altro che facile, il regime di Tashkent sfrutta per quanto possibile la sua importanza strategica. Tanto più che i convogli che transitano attraverso il Pakistan sono vittima dei sempre più frequenti attacchi dei talebani.

La popolazione e l'opinione pubblica in Uzbekistan e in Eurasia sono sempre meno convinti che l'Ue e l'occidente in generale possano avere un'influenza positiva sul regime di Karimov grazie a una "cooperazione costruttiva". Anche se all'interno dell'Ue qualcuno esprime in privato un certo fastidio nei confronti della visita di Karimov, il regime uzbeco non mancherà di presentare la sua visita come un omaggio e un segno di riconoscimento.

Alcuni credono che Karimov, che ha 73 anni, abbandonerà il potere da solo tra non molto e che nel frattempo conviene mantenere buoni rapporti con l'Uzbekistan. Tutto dipenderà però da come si svolgerà la transizione. Di fatto Karimov può rimanere al potere ancora per diversi anni ed è un maestro nell'arte della mistificazione. Ma l'Ue potrà mantenere questa politica "realista" se le cose non andranno come spera? (traduzione di Andrea De Ritis)

Dall'Uzbekistan

Bruxelles perde credibilità

"La reputazione dell'Ue come garante dei diritti umani e della libertà è sbiadita da tempo. Il fatto che José Manuel Barroso accetti di incontrare il presidente uzbeko [Islam Karimov], uno dei dittatori più brutali al mondo, ne è l'ennesima dimostrazione", scrive Galina Bukharbaeva, direttrice del sito di informazione indipendente uzbeko [Uznews](http:// www.uznews.net/index.php?lng=en), in un commento pubblicato dalla Süddeutsche Zeitung. "Il potere del presidente uzbeko si basa unicamente sull'incredibile brutalità perpetrata contro il suo stesso popolo, la stessa che gli permette di restare in carica ed essere un partner per l'occidente. Se i leader dell'Ue continueranno a lavorare con Karimov in queste condizioni si renderanno responsabili dei crimini del regime", conclude Bukharbaeva, che vive in esilio a Berlino.

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