Un’Unione made in Germania

Per salvare l'euro fate come la Germania. Ripetuto all'infinito da Angela Merkel, questo mantra sta facendo presa sugli altri paesi dell'eurozona. È il prezzo da pagare, se si vuole uscire dalla crisi che colpisce l'Europa, sostiene la Zeit.

Pubblicato il 3 Febbraio 2011 alle 16:01

Improvvisamente la cancelliera sembra disposta ad accettare qualcosa che finora aveva sempre rifiutato: vuole vincolare ancora di più la Germania agli altri stati europei – compresi gli stati economicamente inaffidabili come la Grecia. Di colpo la Germania deve trovarsi d'accordo con i suoi vicini: sulle politiche di risparmio, sulle tasse, persino sulla questione dell'età pensionabile. In altre parole, di punto in bianco l'Europa è diventata più importante che mai – senza che sia chiaro se gli altri vogliono solo i nostri soldi o se sono davvero pronti ad accettare le nostre regole e i nostri principi.

Tutto questo è implicito nell'idea di un governo economico. Ma da noi questa idea è assai impopolare. Dallo scoppio della crisi del debito l'ostilità a un'ulteriore integrazione europea è cresciuta sensibilmente. Oggi quando i tedeschi sentono nominare l'Europa pensano soprattutto alla perdita di controllo. E nessuno ormai crede più che un giorno l'euro sarà stabile come lo era il marco tedesco. Perché allora Angela Merkel ha preso questa decisione, e perché proprio adesso?

Cerchiamo di ricordare la situazione dell'anno scorso. La crisi greca era in piena escalation, nei mercati finanziari gli speculatori scommettevano sulla fine dell'unione monetaria e solo all'ultimo momento la Germania si è decisa ad aiutare i greci facendogli credito per milioni di euro. Nel frattempo i governi europei si scontravano su qualsiasi proposta di riforma economica. Il sud invocava soprattutto solidarietà incondizionata (ovvero soldi). Il nord voleva fermezza e severe misure di risparmio. Alla fine c'è stato un compromesso. I problemi però rimangono. L crisi dei debiti non è stata risolta, né si è trovato un sistema per rafforzare l'Europa in previsione delle future crisi.

Ma l'anno scorso non è successo solo questo. Come la maggior parte dei tedeschi, anche il governo federale ha aspettato che la situazione si tranquillizzasse. Con la certezza che quanto meno denaro e potere si trasferiscono in Europa, tanto più le nostre finanze sono al sicuro. Questa si è dimostrata una conclusione errata. Altri paesi sono finiti nella rete degli speculatori, e altre voci minacciose sulla fine dell'euro si sono levate. Sono serviti altri miliardi per il salvataggio dell'euro. Alla fine la cancelliera era distrutta.

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Nessun governo può permettersi qualcosa di simile a lungo andare. L'esecutivo ha imparato la lezione: se si vuole risolvere la crisi dell'euro bisogna pensare in grande. E questo significa: prima di tutto porre fine alla crisi greca, quindi convertire i crediti in modo da non far crollare né l'economia locale né le banche tedesche gravate dai titoli greci. Secondo, bisogna aiutare finanziariamente gli altri stati in difficoltà. Terzo – e più importante – bisogna garantire che questo denaro non vada sprecato, e qui l'Europa deve vigilare bene.

Pressione sui ritardatari

Proprio su questo punto il governo economico à la Merkel esibisce la sua logica consequenzialità: se le nostre finanze in ultima analisi sono a disposizione dei paesi vicini, dobbiamo poter dire la nostra anche a casa loro. Diamo più potere all'Europa, ma in cambio l'Ue deve funzionare secondo i principi tedeschi.

In concreto: far sentire in tutta Europa la pressione sui ritardatari. La Francia sarebbe spinta dagli altri paesi Ue a innalzare l'età pensionabile. La Spagna dovrebbe rinunciare all'adeguamento dei salari all'inflazione e l'Italia dovrebbe abbattere il debito. Ci potrebbero essere anche punizioni automatiche in caso di inadempienze e un freno all'indebitamento come quello introdotto nella Costituzione tedesca.

Suona come un'utopia, ma non lo è. Perché anche gli altri paesi hanno tratto le loro lezioni dalle vicende dell'anno scorso. La cultura tedesca della stabilità trova dappertutto nuovi seguaci. A Parigi, perché ormai anche lì si è riconosciuto che la Francia potrebbe finire tra i paesi a rischio. A Madrid, dove cresce la paura di una bancarotta. A Dublino, dove ormai è chiaro a tutti che il governo di Cowen deve pagare i suoi errori. E a Bruxelles, dove il pensiero tedesco si è già imposto più di quanto sembri.

L'Europa diventerà sempre più tedesca – almeno per quanto riguarda l'economia. Anche questo andrebbe raccontato ai cittadini. E non perché non ci sono alternative, ma perché solo così si può intravedere un lieto fine. (traduzione di Nicola Vincenzoni)

Spagna-Portogallo

Le indigeste condizioni di Angela Merkel

"Benvenuta Merkel", titola ironicamente Abc in occasione della visita della cancelliera tedesca in Spagna. L'incontro avviene all’indomani della firma dell’accordo sulla riforma delle pensioni “pretesa dalla Germania”. Secondo il quotidiano, la foto ufficiale della firma dell’accordo ritrae “un paese disoccupato”. Abc calcola che “indipendentemente da quale sarà il discorso ufficiale di Merkel in Spagna”, confermerà che sono assolutamente indispensabili nuove riforme “urgenti e radicali”. Esigenze che valgono anche per il resto d’Europa, soprattutto per il Portogallo. Merkel “reclama ingenti risarcimenti” per gli aiuti chiesti dal Portogallo, scrive Diário de Notícias. Tra questi l’inserimento nella costituzione dei paesi della zona euro di una regola che imponga la riduzione del deficit pubblico. Questo provvedimento, per il momento respinto dal primo ministro José Sócrates, sarà strenuamente difeso da Angela Merkel in occasione della riunione del Consiglio europeo del 4 febbraio.

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