Sul narghilè: "Accordo sui rifugiati".

Tutto fermo sul fronte turco

Dopo la visita in Turchia di Angela Merkel e di una delegazione di leader dell’Ue, l’editorialista turco Cengiz Aktar fa il bilancio dei provvedimenti adottati da Ankara in seguito all’accordo con Bruxelles sui rifugiati e sul percorso che rimane verso l’adesione all’Unione. Contrariamente a quanto sostengono Ankara o Bruxelles sono entrambi su un binario morto.

Pubblicato il 2 Maggio 2016 alle 12:59
Sul narghilè: "Accordo sui rifugiati".

Dallo scorso autunno, la partita fra Unione europea e Turchia ha innescato un rapporto immorale. E gli incontri bilaterali quanto quelli multilaterali proseguono come mai prima d’ora negli ultimi sei-sette anni.
Gli ambienti europei hanno preso una decisione attorno alla fine dell’estate: “I rifugiati e i richiedenti asilo, siriani o di altre origini, stanno arrivando sul territorio dell’Unione passando per la Turchia. Solo la Turchia può arrestare questo enorme flusso di persone, dimostratosi per noi ingestibile. Bisogna fare di tutto perché ciò accada”.
Che cosa include questo “tutto”? Comprende: dare denaro alla Turchia; assicurarsi che la Turchia riammetta i richiedenti asilo respinti in cambio dei rifugiati trasferiti poi direttamente dalla Turchia; impedire che altri rifugiati entrino nel paese; fingere di riaprire la questione dell’adesione della Turchia all’Ue; promettere ai cittadini turchi l’esenzione dai visti in giugno; chiudere gli occhi di fronte all’aumento dei casi di violazione dei diritti umani in Turchia; sostenere in modo diretto o indiretto il regime di Ankara.
Questa strategia è stata messa in atto sin dall’ottobre 2015. I risultati ottenuti finora sono i seguenti:
Promesse di denaro: Dei 3 miliardi di euro promessi, solo 187 milioni sono stati trasferiti. Il problema principale è la mancanza di un’adeguata valutazione delle necessità e di una pianificazione che coinvolga le organizzazioni internazionali intergovernative (come l’Acnur) e non-governative. Inoltre, due presupposti di base per il sostegno economico, ovvero garantire l’istruzione ai bambini siriani e dare permessi di lavoro ai rifugiati siriani, appaiono irrealistici, considerando i gravi limiti del sistema educativo turco e del mercato del lavoro.
Trasferimenti: Nel 2015, solo 7.500 rifugiati siriani sono stati direttamente trasferiti dalla Turchia ai paesi dell’Europa occidentale. Recentemente ne sono arrivati 32 in Germania, 11 in Finlandia e 31 nei Paesi Bassi. Ora la Germania cercherà di ingrandire questo progetto insieme ad altri stati membri per raggiungere il traguardo di 72mila persone. Totalmente irrealistico!
Rimpatrio: la Grecia ha rimandato in Turchia circa 300 profughi principalmente di nazionalità afgana o pakistana che non avevano fatto domanda di asilo, in virtù dell’accordo di riammissione in vigore fra i due paesi.
Bloccare ulteriori arrivi: Uno degli aspetti immorali dell’accordo consiste nel complicare la possibilità di richiedere asilo in Turchia per siriani e altri rifugiati, e obbligare a quel punto la Turchia a imporre l’obbligo di visto per alcuni paesi. Ora, ai rifugiati non interessano i visti, perché gli rende solo più difficile entrare in un paese, anche se riescono comunque ad entrarci. All’inizio di aprile, decine di migliaia di nuovi rifugiati sono arrivati in Turchia a seguito degli attacchi dell’organizzazione Stato islamico (Is).
Resuscitare i negoziati di adesione: Lo scorso dicembre una lettera scritta dalla Commissione europea indirizzata al primo ministro Ahmet Davutoğlu è stata pubblicata. Cinque dei sei capitoli del negoziato che Cipro blocca a livello unilaterale erano citati nella lettera in quanto potenzialmente apribili. Questi erano Energia, Diritti giuridici fondamentali, Sicurezza, libertà e giustizia, Cultura ed educazione e Politica di difesa esterna.
Nessuno di questi capitoli sarà aperto alla fine, e un altro soltanto lo sarà, a giugno: le Disposizioni economiche e finanziarie.
In dicembre, il capitolo sulla Politica economica e monetaria è stato aperto. Questa parte si occupa dell’euro, che la Turchia non adotterà in un prossimo futuro. E il capitolo Disposizioni economiche e finanziarie affronta il tema dei contributi della Turchia al budget dell’Unione una volta che diverrà membro. In altre parole, stiamo parlando di assoluta fantascienza...
Tuttavia la questione centrale non è l’apertura o meno di nuovi capitoli negoziali; non c’è accordo tra, da una parte, il contenuto di questi capitoli e gli acquis comunitari, l’insieme delle norme in vigore, in generale e, dall’altra, le politiche del governo di Ankara. Per vedere quanto sono limitati i progressi fatti nell’ambito dei 14 capitoli già negoziati, è sufficiente osservare le trattative in corso ora su altre 14 sezioni. Uno di questi è il capitolo Ambiente, nonostante il territorio turco venga tranquillamente distrutto e gli ambientalisti vengano picchiati ogni volta che protestano.
Il rapporto sul progresso della Turchia, che la Commissione ha timidamente diffuso dopo le prime elezioni di novembre in modo tale da non irritare il presidente Recep Tayyip Erdoğan, mostra come le norme, i principi e gli standard europei non siano riusciti a riflettersi nella vita sociale del paese.
Diamo ora un’occhiata al grande imbroglio. Ci sono ancora quattro capitoli su cui Cipro non ha posto veti e che possono essere aperti (la Francia non sta più bloccando capitoli). Uno di questi è l’imminente sezione sulle Disposizioni economiche e finanziarie. Ma anche gli altri sono importanti: Politiche della concorrenza, Appalti pubblici e Politiche sociali e del lavoro.
Ed è Ankara stessa a tenere bloccati questi capitoli! Perché? Perché rispettarne i “parametri di apertura” non rientra fra i suoi interessi!
Concorrenza: “La Turchia è moderatamente preparata nell’ambito delle politiche della concorrenza. Qualche progresso è stato compiuto, in particolare sull’antitrust e le fusioni: su questi punti la legislazione è in gran parte allineata ai parametri europei e le autorità garanti della concorrenza continuano a svolgere il loro dovere in modo efficace. In ogni caso, non c’è stato alcun progresso sulle politiche riguardo agli aiuti di stato: l’entrata in vigore della legislazione in merito è stata rimandata per la terza volta. Durante il prossimo anno, la Turchia dovrebbe in particolare: mettere in pratica la legge sugli aiuti di stato senza ulteriori ritardi per garantire un efficace controllo dei regimi di aiuto e un adeguato allineamento agli acquis. Dovrebbe inoltre completare l’aggiornamento dell’inventario”.
Il governo turco non ha intenzione di cambiare la politica sugli aiuti di stato, che crea concorrenza sleale; di conseguenza, questo capitolo non verrà aperto.
Appalti pubblici: “La Turchia è moderatamente preparata per quel che riguarda la legislazione sugli appalti pubblici, area che potenzialmente potrebbe essere inclusa in una moderna ed estesa Unione doganale. Restano importanti lacune nell’uniformazione con gli acquis, e gli appalti pubblici sono particolarmente vulnerabili alla corruzione. Nel corso dell’anno passato sono stati compiuti alcuni progressi, in particolare nel rafforzamento della capacità di implementazione e applicazione delle norme. Tuttavia, nuove rettifiche al quadro normativo sugli appalti pubblici hanno allontanato la legislazione dagli acquis.
Nel corso del prossimo anno la Turchia dovrebbe in particolare: rivedere la sua legislazione sugli appalti pubblici per allinearla con la Direttiva europea del 2014 sulla materia, concentrandosi soprattutto sui servizi e le concessioni, e per aumentare la trasparenza; cominciare ad abrogare le eccezioni che contraddicono gli acquis, come auspicato nel programma di armonizzazione del piano d’azione nazionale per l’adesione alll’Unione europea, e ad eliminare le misure restrittive come ad esempio i vantaggi per i prezzi nazionali e le compensazioni.”
L’ostacolo principale all’apertura del capitolo sugli appalti pubblici è il fatto che il governo di Ankara rifiuta di ammettere le aziende dell’Ue nelle gare (che rappresentano 45 miliardi di euro annui) poiché ciò produrrebbe concorrenza, introdurrebbe nuove competenze e abbasserebbe i prezzi dell’attuale mercato. Vuole conservare per sé tutte le assegnazioni dal momento che rappresentano un importante strumento di clientelismo nell’ambito delle politiche sociali e del lavoro: “La Turchia resta moderatamente preparata in questo ambito. Sono stati rilevati alcuni progressi duranti gli ultimi anni, principalmente nella legislazione sulla sanità e la sicurezza. Nel corso del prossimo anno la Turchia dovrebbe in particolare: rimuovere gli ostacoli come il requisito della doppia soglia di rappresentatività per i sindacati, che impedisce l’instaurarsi di un dialogo sociale efficace; mettere in atto e applicare più adeguatamente la legislazione sulla sanità e sulla sicurezza; incrementare protezione e inclusione sociale e le politiche contro le discriminazioni, con l’obiettivo di garantire egual trattamento per tutti.”
Sin dal colpo di stato del 1980, la Turchia ha continuato a indebolire i sindacati. Oggi sono completamente distrutti. Né il settore pubblico né quello privato possono essere convinti dell’importanza dei sindacati, fortemente sottolineata da parte dell’Europa insieme alla sicurezza e alla sanità sul luogo di lavoro, all’abbassamento delle soglie che permettono ai sindacati di siglare contratti di lavoro, e il diritto di sciopero per il pubblico impiego. Al contrario, Ankara sta tentando tutte le strade per evitare di dover affrontare questo capitolo negoziale.
In breve, l’assurdità in cui si inseriscono i rapporti fra Turchia e Unione europea, entrati in una nuova fase grazie all’accordo sui rifugiati, è smascherata dalle resistenze dimostrate da Ankara sull’apertura dei tre capitoli citati sopra, sulla base di contrasti di tipo politico, finanziario, interno e tecnico rispetto all’armonizzazione comunitaria.
Esenzione dai visti: Una componente fondamentale dell’accordo sui rifugiati. Il fronte turco negli ultimi giorni ha iniziato a mostrare nervosismo minacciando letteralmente l’Ue di ritorsioni se i visti non fossero aboliti. In ogni caso, ci sono 72 condizioni molto rigide che la Turchia deve rispettare. Il secondo rapporto di verifica, che riguarda il livello di adempimento delle suddette condizioni, è stato pubblicato a inizio marzo a Bruxelles. Come ogni documento scritto in linguaggio diplomatico, questo rapporto elogia i risultati ottenuti finora, ma sottintende che resta ancora molto lavoro da fare per soddisfare tutte le richieste. Lasciate che lo ripeta: l’esenzione dai visti è una mera illusione. Anche se la Turchia esaudisse tutti i 72 requisiti, i membri turchi dell’Is, i futuri rifugiati turchi che si sentono perseguitati e i disoccupati turchi sono già abbastanza per lasciare in vigore l’obbligo di visto.
Controllo sui diritti umani: La principale componente immorale dell’accordo Turchia-Ue è il fatto che l’Unione europea finga di non vedere il vertiginoso aumento delle violazioni dei diritti umani in Turchia. L’esempio più laconico è stata la brusca risposta del ministro dell’interno tedesco Thomas de Maizières sulla presa di controllo da parte del govrno del gruppo editoriale Zaman: “Noi non siamo i giudici dei diritti umani.”
Finalmente e abbastanza stranamente, tutti questi sviluppi negativi portano a un risultato positivo: finché il governo turco rinuncia l’obiettivo di trasformare la Turchia in un membro dell’Ue, l’Unione europea lo sostiene pienamente.
Devo sottolineare il fatto che l’“amicizia” dell’Ue indica che non prende in considerazione l’adesione della Turchia in un prossimo futuro. La Turchia non viene mai menzionata nel paragrafo sull’allargamento nel piano di lavoro europeo a 18 mesi per il periodo fra il 1° gennaio 2016 e il 30 giugno 2017!

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