Opinion, ideas, initiatives Elezioni presidenziali in Austria

Un avvertimento per l’Europa intera

Una manciata di voti dall’estero ha regalato la vittoria al candidato indipendente Alexander Van der Bellen, che ha battuto per un soffio quello di estrema destra Norbert Hofer. Il paese è più diviso che mai e il sistema politico che ha retto l’Austria dal dopoguerra è in frantumi.

Pubblicato il 23 Maggio 2016 alle 22:30

In Austria la politica non ha nulla di spettacolare. Per decenni il paese è stato governato dal principale partito di centrosinistra o da quello di centrodestra – e di solito da tutti e due insieme. Gli incarichi pubblici sono scrupolosamente ripartiti tra il Partito socialdemocratico (Spö) e quello popolare (Övp) ; ci sono persino due automobile club e due club alpini. Il presidente della Repubblica non ha poteri reali. Ma l’eventualità dell’elezione di un candidato di estrema destra ha attirato l’attenzione dell’Europa verso un paese che per molti versi ne è lo specchio.

Per decenni la politica in Austria è consistita in una serie di morbidi passaggi da una grande coalizione alla seguente, senza vere alternative, iniziative o riforme importanti. Domenica scorsa questo sistema ha perso; e questo modo di fare politica da tran-tran sta perdendo anche in altri paesi europei.

“In Austria i partiti principali hanno fatto del loro meglio per trasformare la politica in poltiglia insipida, e ora all’improvviso si è fatta dura e tosta”, scriveva The Economist alla vigilia del voto: “la statica coalizione al potere è in prima linea di una battaglia che stanno affrontando molti altri partiti moderati in Europa.”

Al secondo turno delle presidenziali non c’era nessun candidato dei partiti tradizionali. Gli elettori avevano la scelta tra il partito di estrema destra Fpö e i Verdi. I candidati al ballottaggio Norbert Hofer e Alexander Van der Bellen non potevano essere ideologicamente più distanti.

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La vittoria di misura di Van der Bellen non deve essere motivo di sollievo: i risultati ufficiali confermano che la metà del paese ha votato per un candidato di estrema destra. La maggior parte degli osservatori considera che l’immigrazione è la ragione principale della crescita dell’Fpö; ma la crisi dei rifugiati ha solo accelerato una tendenza in corso da anni e che riflette la perdita di attrazione dei due partiti principali.

L’Austria, contrariamente alla Germania, non ha mai fatto la sua introspezione postbellica. Il paese non è vaccinato contro l’estrema destra o addirittura contro i partiti neonazisti, come ha dimostrato la coalizione tra l’Övp e l’Fpö al governo tra il 2000 e il 2006. Di fronte a partiti senza fascino l’Fpö, con il suo carismatico leader Heinz-Christian Strache, è passato da risultati a una cifra al 30 per cento nei sondaggi al 49,7 per cento delle elezioni di domenica.

Norbert Hofer ha incarnato la voce moderata del partito. Le sue posizioni sull’Ue e l’immigrazione non erano estreme quanto quelle che si sono potute sentire nella bocca di esponenti dell’Fpö. Ciononostante Norbert Hofer è membro di un’associazione studentesca di estrema destra e coautore del programma del partito, che contiene diverse posizioni proprie dell’estrema destra.

Ma per metà degli elettori votare per un candidato di estrema destra non è più tabù. Quello per Hofer non era solo un voto simbolico, messo nell’urna sapendo che poi ci sarebbe stata la solita grande coalizione Övp-Spö. Metà del paese ha davvero voluto vedere un candidato di estrema destra alla presidenza del paese. Secondo un osservatore di Der Standard uno dei motivi principali che ha spinto gli elettori a votare per un candidato era di fermare l’altro. Van der Bellen ha tratto profitto più di Hofer di questa tendenza, ma il paese rimane diviso tra due visioni del mondo: una aperta e filoeuropea; l’altra nazionalista, sostenitrice della chiusura delle frontiere e che respinge l’Ue.

Tra i due turni Van der Bellen ha raccolto i voti dei liberali e dei socialdemocratici. I cristiano-sociali si sono divisi a metà, secondo un’analisi diffusa dalla televisione pubblica. Contrariamente alla Francia, in Austria non c’è la tradizione del “fronte democratico” contro l’estrema destra. Malgrado il sostegno ricevuto da diverse personalità politiche a titolo individuale, nessun partito ha ufficialmente sostenuto il candidato verde: l’Fpö potrebbe vincere le prossime politiche, ed entrambi i partiti potrebbero immaginare delle coalizioni per rimanere al potere.

I mezzi d’informazione europei quasi non se ne sono accorti ma l’Austria ha un nuovo cancelliere. Christian Kern ha cominciato il suo mandato tra i due turni delle presidenziali prendendosela con la politica sonnecchiante dei suoi predecessori. Ha chiesto la fine della politica “assetata di potere e di vedute corte”. “I due grandi partiti potrebbero sparire”, ha detto Kern, “e sarà probabilmente per buoni motivi.”

La sconfitta dell’estrema destra questa volta è forse l’ultimo avvertimento ai partiti moderati, non solo in Austria, ma in tutta Europa. L’Austria è praticamente al pieno impiego e non conosce problemi gravi. Un motivo in più per prendere il voto sul serio.

L’Austria non è diventata xenofoba da un giorno all’altro. Il paese non è razzista al 50 per cento. Gli eventi recenti hanno propulso l’estrema destra verso gli attuali numeri da record; ma la crisi dei rifugiati non deve essere una scusa per continuare a fare come se niente fosse. Nel suo primo discorso da presidente eletto Van der Bellen ha evocato l’unità, il dialogo e la ragione: “Sembra che molti in questo paese sentono che non sono ascoltati o notati. Abbiamo bisogno di un’altra forma di politica. Una politica che non si occupa solo di sé stessa, ma delle vere paure.”

Il messaggio secondo il quale gli elettori sono sempre più stufi dei partiti tradizionali e che rischiano di preferirgli discorsi populisti, estremisti, semplicistici e xenofobi dovrebbe essere sentito in Austria e attraverso l’Europa. E di corsa.

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