Un graffito celebrativo della rivolta egiziana. Il Cairo, febbraio 2011.

L'Europa deve preoccuparsi?

Terrorismo, immigrazione, economia: l’ondata di rivolte che sta sconvolgendo il mondo arabo presenta diverse incognite per gli interessi europei. Ma la maggior parte di queste preoccupazioni non sembra finora avere trovato fondamento.

Pubblicato il 21 Febbraio 2011 alle 15:44
Un graffito celebrativo della rivolta egiziana. Il Cairo, febbraio 2011.

Ormai sono rimasti in pochi a dubitare che l'appoggio offerto per decenni alle dittature della sponda meridionale del Mediterraneo sia una macchia sul passato dell'occidente. Le rivolte arabe delle ultime settimane stanno condannando, tra l’altro, anche questo atteggiamento. Ma ciò non vuol dire che le inquietudini che hanno motivato la politica occidentale non fossero - e non lo siano ancora - basate su pericoli reali. Il sogno della democratizzazione del mondo arabo è un'idea illuminante, ma avanza sul bordo di un abisso inquietante nel quale alcuni temono - e altri sperano - che possa cadere.

Il pericolo più evidente e più citato è rappresentato dall'eventualità che la transizione possa agevolare l'ascesa al potere di gruppi islamisti ostili a Israele e all'occidente. Tuttavia ci sono diversi elementi che portano a scartare questo tipo di ipotesi, quantomeno a breve termine. In primo luogo bisogna considerare la spontaneità delle proteste delle ultime settimane, portate avanti da migliaia di giovani che aspirano a vivere in società moderne e tolleranti, e nelle quali l'islamismo non ha giocato un ruolo di primo piano.

In Europa c'è chi sostiene che una transizione instabile porti con sé motivi seri di preoccupazione legati al terrorismo, alle ondate migratorie, al narcotraffico, alla stabilità economica e alle riserve energetiche.

I rischi ci sono, ma secondo alcuni esperti non bisogna sopravvalutarli, considerate le scarse probabilità che si realizzino. Un motivò in più, quindi, per assumersi con coraggio le responsabilità legate alla scommessa democratica. Le altre opzioni appaiono molto più preoccupanti:

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Terrorismo

Negli ultimi dieci anni i paesi nordafricani hanno incubato cellule terroriste che hanno compiuto diversi attentati nelle aree costiere e intensificato i sequestri di cittadini occidentali nella regione del Sahel. Gruppi salafiti algerini si sono uniti sotto la sigla Al Qaeda nel Maghreb islamico. Tuttavia fino a oggi i terroristi nordafricani non sono riusciti a seminare il terrore sul suolo europeo. La transizione dai regimi autoritari, laici e filoccidentali verso sistemi più plurali e probabilmente meno stabili e inclini alla repressione apre nuove incognite.

"Fin ora i regimi arabi sono stati contemporaneamente il male e la sua cura", sostiene Mathieu Guidère, professore universitario e autore di diversi libri d'inchiesta sul terrorismo islamico. "L'assenza di libertà, la repressione e la corruzione hanno fomentato l'islamismo, ma al tempo stesso i regimi hanno limitato il fenomeno in maniera efficace". Che succederà adesso?

"Sono pessimista per quanto riguarda i popoli, ma ottimista sulla lotta al terrorismo. Credo che i militari incanaleranno i tumulti rivoluzionari e alla fine manterranno il potere. Questo garantirà continuità all'azione antiterroristica", sostiene Guidère.

Immigrazione

La disperata fuga di migliaia di tunisini verso l'Italia dopo la caduta del regime ha fatto scattare i campanelli d'allarme per un possibile esodo dall'Africa all'Europa. L'ipotesi più convincente sulla diaspora tunisina è quella che tende a considerarla una fuga dei fedeli del regime preoccupati di eventuali rappresaglie, come sostiene Philippe Fargues, direttore del Centro di politiche migratorie dell'istituto universitario europeo.

Al di là del caso tunisino, ciò che preoccupa in generale è l'eventualità di un caos prolungato che possa portare all'emigrazione di grandi masse ed eventualmente all'ammorbidimento dei controlli di polizia nei confronti dell'emigrazione clandestina.

"L'emigrazione dai paesi nordafricani presenta due fattori", commenta Fargues. "Il primo è di natura economica, legato alla disoccupazione e ai bassi salari; l'altro è politico, dovuto alla mancanza di libertà. Salvo casi di particolare instabilità, la caduta dei regimi autoritari non dovrebbe peggiorare la qualità della vita e di conseguenza [generare un aumento] dell'emigrazione".

Economicamente la transizione verso la democrazia non è sinonimo di sviluppo. Ma nemmeno è il caso di aspettarsi un deterioramento della situazione e un conseguente incremento dei flussi migratori. "D'altro canto - aggiunge Fagues - anche se i controlli di polizia dovessero allentarsi bisogna tenere conto del fatto che l'emigrazione clandestina è una forma molto mediatizzata ma anche marginale del fenomeno migratorio. La maggior parte dei migranti parte in aereo e con un visto turistico."

Economia

Il 30 per cento del petrolio e del gas importato dall'Europa proviene dai paesi dell'area arabo-persiana. Un eventuale scenario prolungato di violenze e caos potrebbe causare seri problemi di approvvigionamento [energetico]. Tuttavia anche la semplice instabilità presenta delle conseguenze. Il prezzo del petrolio brent era di 91 dollari a metà del dicembre scorso, prima che iniziassero le rivolte. Venerdì scorso ha chiuso a 103. Altri temono restrizioni del traffico sul canale di Suez o l'ascesa al potere di regimi intenzionati a negoziare i contratti in essere o a variare la loro clientela. Nonostante tutto si tratta però di ipotesi poco realistiche. (traduzione di Andrea Sparacino)

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