Registrazione dei passaporti al campo profughi di Choucha (Tunisia), il 16 marzo.

La politica comune è ancora lontana

L'Unione vorrebbe dotarsi di regole comuni sui rifugiati, ma l'avanzata dei partiti xenofobi in diversi paesi membri e l'afflusso di migranti dall'Africa del nord contribuiscono a rendere il dibattito pericolosamente teso.

Pubblicato il 6 Aprile 2011 alle 15:31
Registrazione dei passaporti al campo profughi di Choucha (Tunisia), il 16 marzo.

Il 4 aprile la radio pubblica svedese ha annunciato che gli olandesi volevano inasprire i criteri per la concessione dell'asilo politico nell'Unione europea. Il governo dell'Aia vuole che i profughi debbano provare l'impossibilità di essere al sicuro in un'altra regione del loro paese d'origine.

La proposta è assurda. Il più delle volte le persone che fuggono dalle persecuzioni non hanno né il tempo né la possibilità di esaminare la situazione nel resto del paese prima di scappare. L'obbligo di produrre questo tipo di prova sembra contrario ai principi fondamentali del diritto d'asilo. Per questo motivo dobbiamo rallegrarci che Cecilia Malmström, commissario europeo agli interni, abbia espressamente sconfessato l'idea.

La richiesta olandese mostra che l'atmosfera dei negoziati sulla politica d'asilo dell'Unione europea sta diventando elettrica. L'anno prossimo l'Unione dovrebbe sostituire le condizioni di base in vigore nei diversi paesi membri con un dispositivo legislativo comune e vincolante.

Finora nelle discussioni pubbliche si è parlato poco di questi negoziati, ma dietro le quinte il clima è teso. In tutta Europa la politica del diritto d'asilo ispira sentimenti contraddittori ed esasperati. Nei paesi membri dove i partiti xenofobi sono riusciti a imporre le loro tesi, l'argomento è estremamente scottante.

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Non c'è dubbio che la concezione di una politica d'asilo comune comporti dei rischi. Il pericolo è che i paesi favorevoli a un alleggerimento delle condizioni siano messi in minoranza dai sostenitori della linea dura. Anche se potrebbe succedere anche il contrario.

In ogni caso sarebbe bene che i paesi membri adottassero regole comuni, dato che possiedono frontiere comuni con il resto del mondo e le persone autorizzate a soggiornare nell'Ue beneficiano della libertà di circolazione. Tutti i paesi si trovano quindi influenzati dalla concezione che hanno gli altri paesi membri della politica d'asilo e di immigrazione. Per questo motivo sarebbe al tempo stesso logico e giustificato dotarsi di regole comuni.

L’esempio tunisino

La questione è sapere come arrivarci. Il rischio è che stati come i Paesi Bassi vogliano rafforzare gli ostacoli alle frontiere, rendendo più dure le condizioni di ingresso. I campi profughi sovrappopolati del Nord Africa sono la prova che l'Ue ha ancora molta strada da fare in materia di diritto d'asilo.

Le autorità tunisine, per esempio, hanno ospitato un totale di 220mila profughi. Gran parte di queste persone non avevano un bisogno particolare di protezione, erano in Libia per lavorare e volevano soprattutto rientrare a casa loro. Circa 100mila persone hanno così potuto beneficiare di un aiuto - in particolare europeo - per rientrare nel loro paese.

Ma migliaia di profughi sono ancora bloccati nei campi tunisini, per esempio i somali o gli eritrei che rischiano di essere perseguitati nei loro paesi di origine e che dovrebbero quindi beneficiare del diritto d'asilo.

Sulla carta l'Unione europea ha già accettato di accordare loro la sua protezione. Ma finora solo sei stati membri, fra i quali la Svezia, si sono proposti di accoglierli. La poca sollecitudine dimostrata dai paesi europei lascia già presagire le difficoltà che incontreranno i negoziati sulla politica d'asilo dell'Ue. (traduzione di Andrea De Ritis)

Immigrazione

Accordo al ribasso tra Roma e Tunisi

"Intesa debole" tra Roma e Tunisi sull'immigrazione, scrive il Corriere della Sera: dopo il fallimento dei primi colloqui il ministro dell'interno italiano Roberto Maroni e il collega tunisino Habib Essid hanno raggiunto solo un accordo verbale, senza fissare date né modalità, sul rimpatrio di circa 800 tunisini sbarcati a Lampedusa. Molti meno di quanto sperato dal governo italiano, che di conseguenza ha dovuto varare un permesso di soggiorno temporaneo "a fini umanitari" per svuotare i centri di accoglienza ormai al collasso, nonostante le proteste degli alleati della Lega Nord. Intanto al largo di Lampedusa si è consumata la peggiore tragedia dall'inizio della crisi: un barcone proveniente dalla Libia si è rovesciato, 250 persone risultano disperse.

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