"Il pensatore" di Auguste Rodin. Foto Javier Vazquez.

Pensiamo al futuro dell'Europa

Per uscire dalla crisi che l'attraversa, l'Unione europea deve andare avanti e fondare un nuovo grande progetto, ambizioso come la moneta unica. È quel che propone il rapporto "L'Europa può fare di meglio", elaborata a Varsavia dal settimanale Polityka e dal centro di riflessione demosEuropa. Un testo che invita a scegliere un futuro.

Pubblicato il 24 Luglio 2009 alle 17:08
"Il pensatore" di Auguste Rodin. Foto Javier Vazquez.

Per molti, l'elezione del polacco Jerzy Buzek alla presidenza del Parlamento europeo è stato un atto simbolico per garantire alla Nuova Europa il diritto di esprimersi. La domanda è: abbiamo qualcosa da dire?

È un momento speciale: stretta nella morsa di una triplice crisi – economica, istituzionale e da mancanza di fiducia e prospettive future – l'Europa ha perso slancio e non sa bene cosa fare. L'Ue, però, è appena entrata in una nuova stagione istituzionale: un nuovo parlamento, presto una nuova Commissione. L'apatia europea dev'essere superata.

Il settimanale Polityka e il serbatoio di cervelli di Varsavia demosEuropa – Centro strategico europeo hanno creato un gruppo di riflessione per stilare la nuova agenda dell'Unione europea. L'approfondito studio dal titolo Europe Can Do Better (L'Europa può fare di meglio) è stato reso noto a Varsavia il 16 luglio e vorremmo presentarlo anche in alcune capitali europee selezionate. Il messaggio è chiaro: l'Ue deve inaugurare un nuovo e rigoroso progetto d'integrazione tipo quello del mercato unico degli anni ottanta o della valuta unica degli anni novanta.

L'Ue è qualcosa di più di un organismo internazionale: è un progetto politico e di civiltà. La sua importanza e il suo significato dipendono da quanto l'Europa ha da offrire a sé stessa e agli altri. Oggi il dibattito europeo si è arenato, sospeso tra il sogno degli Stati Uniti d'Europa, che fino a poco tempo fa assorbiva tutti, e un pragmatismo illusorio, che domina la vita politica del continente. Questo gretto pragmatismo è un virus che indebolisce l'Unione, subisce varie mutazioni e incide sulle questioni fondamentali, come il funzionamento del mercato unico. Paradossalmente, questa sorta di "autodisintegrazione" dell'Ue può essere più pericolosa delle sfide dirette alla sua legittimità.

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Nella recente sentenza sul trattato di Lisbona, in 147 pagine i giudici della Corte costituzionale tedesca sostengono che l'integrazione europea ha ridotto eccessivamente i poteri dello stato-nazione. Dobbiamo deciderci: o stato-nazione o Stati Uniti d'Europa. Non possiamo avere entrambi.

Da qualche tempo, ormai, circola il termine "G2", cioè Stati Uniti e Cina. Nessun paese europeo, da solo, è un loro partner. Non sarebbe il caso che l'Ue trasformasse il G2 in G3? Se l'Unione europea perde la battaglia per incidere a livello globale, cesserà di esistere come entità politica. Perché il G3 diventi una realtà, l'Unione deve creare una cultura strategica comune e imparare a fidarsi dei suoi rappresentanti. Una diplomazia europea, a cui il trattato di Lisbona dà il via libera, può essere creata in molti anni, magari controllata dalle principali capitali d'Europa, o può essere creare in fretta, attrezzandola adeguatamente. Non c'è dubbio che occorra scegliere la seconda operazione.

All'Europa serve una politicizzazione, da ottenere con la formazione di partiti politici realmente europei. Dovrebbero essere loro, e non i partiti nazionali, a portare avanti il dibattito prima delle elezioni del Parlamento europeo. In questo modo eviteremmo le campagne elettorali locali, dominate da questioni interne e dalle ambizioni personali delle varie parrocchie. Gli europei discuterebbero sulle questioni del continente: lo sanno tutti che problemi quali la tutela ambientale, i trasporti e l'energia non si possono risolvere in un solo stato membro, perciò neppure il dibattito pubblico europeo andrebbe affrontato a questo livello.

È necessaria una stretta collaborazione tra Ue e Nato. Si dovrebbe inaugurare una nuova fase con un riesame delle sfide chiave e la ricerca di un comune denominatore tra la Strategia per la sicurezza europea e il nuovo Concetto strategico della Nato. All'Ue serve una capacità di progettazione autonoma, in modo da non dover contare sulla buona volontà degli stati membri.

Per fortuna, la crisi ha dimostrato la solidità delle fondamenta dell'Ue, in particolare della Banca centrale europea. Se non fosse stato per l'euro, è probabile che l'Europa sarebbe stata indebolita dalle ondate di svalutazione competitiva, perché ogni stato membro avrebbe faticato a ottenere i benefici del tasso di cambio. L'euro va rafforzato e trasformato in una solida valuta di riserva globale accanto al dollaro statunitense. L'allargamento della zona euro è uno dei progetti politici più importanti del prossimo decennio. È necessario superare la divisione tra stati membri vecchi e nuovi.

Il progetto europeo si è sempre basato sull'integrazione economica, e di questo diventiamo più consapevoli durante le crisi. In quest'ultima, ognuno ha agito a modo suo. La Germania ha introdotto il requisito costituzionale della riduzione del deficit di bilancio, mentre la Francia vuole investire "nel futuro" aumentando il debito interno. Il metodo del tiro alla fune, in cui vince il più forte, è ancora all'ordine del giorno. Dal punto di vista polacco, è tassativo difendere i principi fondamentali dell'Ue del libero flusso di merci, persone, servizi e capitale, a prescindere dalla situazione economica, ma anche promuovere l'aumento del bilancio dell'Unione, che attualmente è fermo all'uno per cento del Pil europeo. Questi fondi serviranno a sostenere i progetti di ricerca e sviluppo, perché l'innovazione è "l'essere o non essere" dell'economia europea del ventunesimo secolo.

Una crisi è in corso e altre sono già all'orizzonte. La prima di esse è causata dalla demografia, al contempo un successo e un problema dell'Europa. Nei prossimi due o tre anni, la metà degli europei avrà oltre cinquant'anni. Al mondo non esistono altre società o economie con un profilo demografico simile. Su questo tema occorre un patto politico, un'estensione dell'età di pensionamento e una graduale transizione (come in Polonia) verso un modello pensionistico a contribuzione definita.

La quantità di questioni che l'Ue deve affrontare nei prossimi anni è preoccupante. Per ironia della sorte ciò spiega perché, nella situazione attuale, ci sia stata una disperata mancanza di leadership politica. È cento volte più facile rifugiarsi nei dibattiti politici interni e dimenticare il mondo, sperando che qualcuno risolva i problemi al posto nostro. Ora, però, l'idillio sta per finire. Con Jerzy Buzek a capo del Parlamento europeo, e la presidenza polacca che incombe all'orizzonte nel 2011, non possiamo evitare di difenderci meglio. Noblesse oblige!

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