Un soldato britannico di pattuglia a Kabul (AFP)

Una potenza soft in un mondo di duri

Mentre i bilanci militari di Cina, Russia, Stati Uniti e India non cessano di aumentare, quello dell'Unione europea è fermo da dieci anni. La capacità dell'Europa di influire su scala mondiale si basa sul "soft power" a scapito di una vera politica comune di difesa, si lamenta El País.

Pubblicato il 27 Luglio 2009 alle 16:18
Un soldato britannico di pattuglia a Kabul (AFP)

Luglio è stato un mese durissimo per truppe britanniche in Afghanistan. La morte di 19 soldati in tre settimane, in maggioranza a causa di ordigni esplosivi, ha scatenato a Londra un furioso dibattito sull'adeguatezza dell'equipaggiamento dell'esercito di Sua maestà.

Il dibattito in Gran Bretagna – la maggiore potenza militare europea insieme alla Francia – pone una domanda politica a tutto il continente: in che stato sono i muscoli dell'Europa? Sono adatti a sostenere le sue ambizioni di potenza globale? Le statistiche sulle spese militari offrono una risposta chiara: mentre nell'ultimo decennio tutte le potenze mondiali hanno aumentato a ritmi vertiginosi i loro investimenti, l'Europa è rimasta ferma. In proporzione la forza militare europea si riduce rapidamente.

Le cifre sono impressionanti. La Cina ha aumentato la spesa militare effettiva del 194 per cento tra il 1999 e il 2008. La Russia del 173 per cento, gli Stati Uniti del 66, l'India del 44. In confronto, nello stesso periodo la Francia ha investito il 3 per cento in più, l'Italia lo 0,4, mentre la Germania ha ridotto il bilancio dell'11 per cento. La Gran Bretagna lo ha invece incrementato del 20 per cento a causa della sua partecipazione alle guerre in Iraq e Afghanistan. Nel complesso, il continente ha registrato un aumento del 5 per cento. I dati vengono dal prestigioso Stockholm International Peace Research Institute (Sipri).

"Il bilancio della difesa dipende da tre fattori", commenta Samuel Perlo-Freeman, ricercatore del dipartimento spese militari. "Il coinvolgimento in conflitti armati, come per gli Stati Uniti. le ambizioni geostrategiche, come per la Cina e la Russia, o il sostegno di una crescita economica elevata. Nessuno dei tre è il caso dell'Europa. I suoi paesi membri si sono posti obiettivi che non richiedono lo sviluppo di una potenza militare".

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La capacità di influenza europea dipende così sempre di più dal soft power, che scaturisce dal potere economico e commerciale, dalla seduzione culturale e dal suo attraente cocktail di libero mercato e protezione sociale. Per molti è una buona cosa. In merito esistono opinioni di tutti i tipi. I fatti però parlano di una competizione serrata in un mondo assai meno nobile di come lo vorrebbero i sostenitori del soft power. Un mondo in cui l'hard power non conta meno di quando Stalin rispose a una domanda sui rapporti con la chiesa cattolica: "Il papa? Quanta divisioni ha il Papa?".

"L'Europa si è sganciata dal ritmo di crescita degli altri. È un motivo di preoccupazione", osserva dalla Francia Yves Boyer, direttore aggiunto della Fondation pour la recherche stratégique. "Se vogliamo evitare che l'europa sia condannata alla decadenza, i governi devono dotarla di mezzi industriali, diplomatici, culturali, ma anche militari. Anche se l'opinione pubblica non è d'accordo, un governo ha il diritto di agire nell'interesse strategico di un paese."

La tendenza mostra un assoluto stallo negli ultimi dieci anni, e le prospettive per i prossimi non sembrano contraddirla. La crisi economica globale riduce ulteriormente il margine di manovra.

"Di fronte alla frenata degli investimenti che pregiudica la disponibilità di mezzi", prosegue Boyer, "l'Europa gode tuttavia di vantaggi comparativi quanto a competenze. Ma anche le competenze hanno bisogno di mezzi per mantenersi nel tempo, e questa spirale discendente può essere pericolosa".

Per farsi un'idea delle proporzioni, le cinque principali potenze militari europee – Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia e Spagna – con una popolazione equivalente a quella degli Stati Uniti e un Pil poco inferiore, messe insieme non producono che un 40 per cento delle spese militari di Washington.

D'altra parte, è evidente che la somma del bilancio militare europeo continua a essere più una questione di aritmetica che di politica. Nonostante l'ascesa di Sarkozy – e il suo riavvicinamento alla Nato e agli Stati Uniti – facilitino lo sviluppo di una difesa comune europea, in realtà non ci sono progressi significativi in vista. L'impegno militare europeo rimane frammentato, mentre all'orizzonte si profilano realtà nazionali coese e sempre più armate.

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