Barack Obama a Dublino, 23 maggio 2011

Obama, l’amore è cieco

Nonostante molte delle aspettative suscitate nel 2008 siano state deluse, gli europei continuano ad avere grande fiducia nel presidente statunitense. Più che i meriti di quest'ultimo, però, contano le mancanze dei loro leader.

Pubblicato il 24 Maggio 2011 alle 16:27
Barack Obama a Dublino, 23 maggio 2011

Nel suo libro “L’audacia della speranza”, Barack Obama si descrive come un test di Roarschach, il famoso esperimento psicologico nel quale si mostrano al soggetto alcune macchie d’inchiostro e si chiede poi di enunciare che cosa veda in esse. Una risposta giusta al test non esiste, ma si ritiene che ogni risposta a modo suo riveli le ossessioni e le ansie del soggetto stesso. "Io fungo da schermo sul quale persone di orientamenti politici diversi proiettano le loro opinioni. E in quanto tale è inevitabile che io ne deluda alcune, se non tutte".

Una delle cose più curiose di chi lo sostiene maggiormente, tuttavia, non è la delusione – tenuto conto di quante speranze nutrono nei suoi confronti ci sarebbe da aspettarsela – bensì la permanente devozione malgrado qualche delusione. È come se ogni singola delusione si esaurisse in un disappunto astratto.

Questo è stato particolarmente vero nel caso dell’elettorato statunitense di colore, che per certi aspetti è riuscito a sentirsi più ottimista che mai sull’America, anche ora che le cose vanno peggio. Disoccupazione e povertà sono peggiorate parecchio rispetto ai tempi di George W. Bush, e il divario nelle opportunità di bianchi e neri è andato aumentando. Nondimeno, gli americani di colore continuano a essere la base più fedele a Obama. Tra di loro si registra un tasso di disoccupazione del 16 per cento, ma continuano ad appoggiarlo nella misura dell’80 per cento.

Le stesse apparenti contraddizioni caratterizzano l’atteggiamento degli europei nei confronti di Obama, cambiato veramente poco dalla sua affermazione come candidato alla presidenza. Un sondaggio Pew pubblicato nel giugno 2008, prima delle elezioni, rivelò che Obama risultava più popolare in Europa che in qualsiasi altro continente, America del Nord inclusa.

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In Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna oltre il 70 per cento della popolazione affermava di confidare che “Obama avrebbe fatto la cosa giusta in politica estera, e oltre la metà riteneva che un nuovo presidente avrebbe cambiato in meglio la politica estera degli Stati Uniti. Se nel 2008 soltanto il 19 per cento degli europei intervistati da un sondaggio del tedesco Marshall Fund era favorevole rispetto alla politica internazionale di Bush, un anno dopo il 77 per cento approvava in pieno la politica estera di Obama.

Nel settembre 2009 Craig Kennedy, presidente della fondazione, disse: "Temo che vedremo svanire l’euforia per Obama mano a mano che gli europei inizieranno a vederlo più come un americano e meno come uno di loro". In realtà ciò non è accaduto. A tre anni di distanza Obama lascia l’America – dove anche dopo l’assassinio di Osama bin Laden ha un tasso di approvazione attorno al 50 per cento – e atterra in un continente nel quale oltre il 70 per cento dei cittadini crede che stia facendo un buon lavoro.

Strano è che in buona parte ciò che gli europei detestavano dell’era Bush è ancora vero, anche adesso che Obama si prepara a candidarsi al suo secondo mandato. Guantánamo è ancora aperta, i trasferimenti illegali dei prigionieri proseguono, ci sono sempre più soldati in Afghanistan e ancora truppe in Iraq.

Inoltre, l’Europa è coinvolta in molte aree nelle quali la politica estera langue. Parte del problema di Guantánamo, per esempio, è che i governi europei si rifiutano di accogliere molti dei prigionieri lì rinchiusi. Alcuni hanno approvato l'invio di rinforzi in Afghanistan, pur pianificando di ritirare le proprie truppe.

La difesa principale addotta da Obama all’estero e in patria è che quando è arrivato alla Casa Bianca le cose andavano male e sarebbero andate peggio se non vi fosse andato. Questo è vero. Ma siamo davvero lontani dalla retorica ispirante che ha caratterizzato la sua ascesa al potere: più che “Yes we can”, siamo al “Could be worse” (potrebbe andare peggio).

Le élite politiche europee sono da tempo insoddisfatte. "Non vorrei esagerare, ma considero questo tour europeo come un’occasione per far ripartire da zero le relazioni con l’Europa", ha detto al Washington Post Heather Conley, direttore del programma europeo presso il Centro studi strategici internazionali. "I leader europei faticano a capire cosa devono fare. Avevano enormi aspettative per questo presidente, ma adesso iniziano a chiedersi se con lui le cose vadano davvero in modo diverso".

Se Obama ha ottenuto così poco, perché gli europei lo amano così tanto? Molte delle motivazioni originali sono ancora valide. Obama non è Bush, anche se non è possibile prevedere quanto durerà l'effetto confronto. Obama è asceso al potere in un periodo in cui la leadership politica dell’Europa si trovava in una fase particolarmente precaria. Gli europei non soltanto amano Obama più degli americani: lo amano ancor più di quanto amino coloro che hanno eletto di persona.

Problemi, non risposte

Una delle ragioni della popolarità di Obama in Europa è proprio il fatto che è comparso quando la leadership europea era in discussione. Meno di un terzo degli italiani e dei francesi approva rispettivamente Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy, e soltanto la metà dei tedeschi reputa affidabile Angela Merkel. David Cameron non ha certo più consensi.

Brillante, carismatico, telegenico e immune agli scandali, Obama incarna ancora la possibilità di una forma popolare di politica elettorale, i cui protagonisti sono cittadini intelligenti e interessati alla cosa pubblica, in netta contrapposizione con gli opportunisti, i maniaci egocentrici e i maneggioni. Da un certo punto di vista è come se la sua comprovata capacità di esprimere e indicare con chiarezza le ragioni profonde e la portata dei problemi abbia consentito alla gente di sorvolare sulla sua incapacità a fornire una risposta.

Per altri versi, invece, l’ “obamafilia” degli europei è tanto un riflesso delle proprie debolezze quanto dei punti di forza di Obama. Al pari dei monarchici che cercano un sovrano benevolo in cui investire le loro grandi speranze, ma su cui non hanno alcun controllo democratico, hanno cercato non tanto di accrescere il proprio potere, bensì di fidarsi di quello altrui.

Ma questi punti deboli si sono moltiplicati. Nelle continue ricadute della crisi finanziaria, il continente si dibatte nel tentativo di restare unito. Grecia e Irlanda sono sull’orlo del default, il Portogallo è in ginocchio, la Spagna in rivolta. E il destino dell’euro è stato messo apertamente in discussione.

Mentre molti dei problemi che affliggono i rapporti transatlantici sussistono, quasi tutto il resto nel frattempo è cambiato. La primavera araba ha messo a nudo il declino dell’influenza internazionale di Stati Uniti ed Europa, mentre i tentativi di mantenere la direzione del Fmi puzzano di anacronismo a fronte dell'emergere di economie sempre più dinamiche.

L’atteggiamento degli europei nei confronti di Obama ci dice più cose sull’Europa di quanto non ne dica sul presidente degli Stati Uniti. E ciò che dice su entrambi non è particolarmente entusiasmante. (traduzione di Anna Bissanti)

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