Tutti uniti per gli eurocrati

L'ex premier britannico Tony Blair ha dichiarato che l'Ue ha bisogno di più integrazione e di un presidente eletto. Ma l'assioma che più Europa è meglio non è sostenuto da prove oggettive, ma dagli interessi di Bruxelles.

Pubblicato il 15 Giugno 2011 alle 14:23

La settimana scorsa abbiamo assistito ad alcuni episodi alquanto deprimenti nell’Ue: funzionari che viaggiavano separatamente in jet privati verso la medesima destinazione mentre facevano grandi discorsi all’opinione pubblica mondiale sulla necessità di tagliare le emissioni di CO2; europarlamentari che chiedono di aumentare il bilancio e propongono nuove tasse per raggiungere una maggiore “armonia” tra gli stati dell’Ue, malgrado i tagli effettuati in tutto il continente.

La maggior parte dei politici dell’Unione, proprio come la maggior parte delle politiche dell’Unione, è totalmente priva di legittimità, e lo sa. Pertanto, quando la settimana scorsa Tony Blair ha affermato che l’Europa ha bisogno di un “presidente eletto”, ha dato voce a un’idea profondamente radicata in quasi tutti i funzionari coinvolti nel grande apparato burocratico politico paneuropeo, ovvero che più unità è meglio per tutti.

Non sembra importare che il “progetto” manchi di supporto e consenso popolare. Perfino il fatto che gli elettori adesso esprimono preoccupazione (per esempio) per le frontiere aperte tra i paesi membri dell’Ue non ha effetti di alcun tipo sulla convinzione degli eurocrati che esista un’unica rotta lungo la quale proseguire, l'integrazione dell’Ue e la definitiva obliterazione dello stato nazionale.

Su che cosa si basa la concezione che lo stato debba essere e sia destinato a essere soppiantato dalle autorità europee? Il tutto si riduce all’affermazione apparentemente innocua di Tony Blair della settimana scorsa, secondo cui “è logico e sensato per le nazioni europee mettersi insieme e usare il loro peso congiunto per avere maggiore influenza”. Non si è mai saputo, tuttavia, in che modo possa essere risolta la questione di come l’entità formata da questo “mettersi insieme” possa avere una qualsiasi legittimità politica sopra gli stati nazione.

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Questo silenzio assordante si spiega con un’ovvia ragione: le singole nazioni e le loro assemblee elette sono considerati dai popoli di quelle nazioni come le uniche istituzioni in grado di emanare leggi. Eleggere un presidente europeo non altererebbe le cose, ma darebbe soltanto una falsa patina di democrazia al progetto dell’unificazione quando, di fatto, l’effetto concreto sarà quello di intaccare l’unica connessione esistente tra il modo di scrivere le leggi e la volontà popolare. Le leggi che escono da Bruxelles non hanno una connessione del genere, ma è su questo che è stato costruito il progetto comune.

Posso anche apprezzare il fatto che un’unione europea maggiormente coesa e grande comporti vantaggi per i politici del continente, che mettono le mani sui benefit connessi al loro status: sfilata di automobili, jet privati, assistenti adulatori e un senso del potere quasi devastante. Ma per tutti noi altri?

Gli entusiasti affermano che un’Europa più unita sarà necessariamente un’Europa più potente, in grado di negoziare accordi migliori nell’ambito dei commerci e della sicurezza. I contratti di libero commercio tra le nazioni indubbiamente comportano parecchi vantaggi, ma per stipularli in fondo non servirebbe molto più di una cooperazione tra i singoli stati nazione. Di sicuro, non è indispensabile sostituirli con un apparato burocratico sovranazionale.

Benefici senza sacrifici

L’idea che un’Europa unita sarà meglio attrezzata per difendere la sicurezza e i valori dei popoli è pura fantasia. L’ “Europa” ha tutti i segni esteriori che si accompagnano a una politica unitaria: una amministrazione pubblica della difesa, un ufficio degli esteri, un ministro degli esteri. L’operazione in Libia è stata approvata dall’Ue, ma come ha osservato la settimana scorsa Robert Gates, segretario alla difesa degli Stati Uniti, i paesi europei sono incapaci di organizzarla.

La campagna dei bombardamenti ha richiesto “un aumento considerevole di specialisti di balistica, provenienti per lo più dagli Stati Uniti”. Ora che la campagna va avanti da undici settimane, le nazioni europee “stanno iniziando a restare a corto di munizioni e ancora una volta ciò implica che dovranno essere gli Usa a fare la differenza”. Ciò è dovuto al fatto che troppi paesi europei vogliono i benefici derivanti dalla cooperazione militare, ma non sono disposti a condividerne rischi e costi: vorrebbero tutto senza faticare.

Ciò, per un verso, è consolante, in quanto dimostra quanto il progetto dell’unificazione affondi sugli scogli dell’interesse nazionale. Lascia intuire, però, che in fondo non serve ad altro che a far sentire ancora più importanti gli eurocrati. La tragedia, tuttavia, è che la loro maggior pompa potrebbe finire col distruggere la nostra democrazia. (traduzione di Anna Bissanti)

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