Manifestazione di sostegno ad Aung San Suu Kyi, l'8 agosto 2009, a Parigi. (AFP).

Le minacce dell'Europa non fanno paura alla giunta

L'Unione ha tempestivamente denunciato la condanna della leader birmana dell’opposizione Aung San Suu Kyi a 18 mesi di arresti domiciliari e ha annunciato “nuove contromisure mirate” contro il regime. Ma la stampa europea è scettica sugli strumenti di pressione sulla giunta e sulla reale volontà da parte di alcuni Paesi di intervenire.

Pubblicato il 12 Agosto 2009 alle 16:57
Manifestazione di sostegno ad Aung San Suu Kyi, l'8 agosto 2009, a Parigi. (AFP).

Nell’ambito della comunità internazionale, l’Unione Europea è stata la prima a reagire energicamente all’annuncio della nuova condanna della leader birmana dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, a 18 mesi di arresti domiciliari, emessa martedì 11 agosto. In una dichiarazione ufficiale pubblicata quel giorno stesso a Bruxelles, la presidenza svedese dell’Ue ha affermato: "L’Unione Europea deplora il verdetto emesso contro Suu Kyi, dirigente della Lega Nazionale per la democrazia, insignita del premio Nobel per la pace". Ha poi proseguito annunciando un inasprimento delle sanzioni economiche nei confronti di “uno dei regimi totalitari più duri al mondo”, ripetendo le parole dell’ex presidente ceco Václav Havel, riferite da Lidové Noviny.

"Le sanzioni europee in vigore, rafforzate già nel 2007, prevedono nello specifico l’embargo per le armi, la proibizione a entrare nell’Ue e il congelamento dei beni per una decina di militari di spicco della giunta, relazioni diplomatiche limitate e il divieto a importare legno, metalli, minerali e pietre preziose o semi-preziose", ricorda il sito economico francese L'Expansion.com. Come poi riferisce il Financial Times Deutschland, i Ventisette dovranno a breve pronunciarsi con una votazione per estendere il congelamento degli utili di 1.200 aziende birmane in Europa.

Londra propone un embargo sulla vendita di armi...

Accogliendo favorevolmente le dichiarazioni di Bruxelles, il presidente francese Nicolas Sarkozy e il suo ministro degli esteri Bernard Kouchner hanno altrettanto tempestivamente caldeggiato l’adozione di nuove sanzioni economiche – si legge ancora nel sito L'Expansion.com -, tra le quali il divieto per i responsabili del regime a ottenere i visti e una tracciabilità dei rubini e del legno. Il Regno Unito sembra volersi spingere ancora oltre: il suo Primo ministro Gordon Brown su Der Spiegel ha ribadito la proposta di un embargo sulle armi predisposto e sorvegliato dalle Nazioni Unite.

Il meglio del giornalismo europeo, ogni giovedì, nella tua casella di posta

Queste dichiarazioni, in ogni caso, pare che non debbano essere seguite dai fatti: come sottolinea The Independent, l'UE non sembra essere sufficientemente potente dal punto di vista economico per avere un’influenza sul regime birmano: "I Paesi occidentali devono esercitare pressioni sui Paesi asiatici che appoggiano la giunta. Non è la Francia a vendere armi al regime, ma la Cina. E non è a Londra che i generali birmani hanno le loro seconde case, ma in Thailandia. A destituire il regime» scrive il quotidiano di Londra, «non sarà l’Unione Europea, ma i dieci Paesi dell’Associazione delle Nazioni dell'Asia Sud-Orientale (Asean)".

...e Parigi frena quello sulle importazioni di petrolio.

Anche per Spiegel Online, l’incapacità dell’Ue a esercitare pressioni sul regime birmano dipende dalla debolezza delle relazioni commerciali esistenti tra Europa e Birmania, nonché dalla precisa volontà dell’Ue di non penalizzare una popolazione che è già in grave stato di indigenza. Tuttavia, se esiste un ambito nel quale l’Ue può effettivamente avere il suo peso in fatto di sanzioni, si tratta sicuramente di quello dell’energia: la Francia è infatti presente in Birmania con Total. Nel maggio scorso Bernard Kouchner aveva ammesso ufficialmente che il gruppo petrolifero francese rappresentava “l’unico serio strumento di pressione economica”, ricorda L'Expansion.fr. Adesso, osserva ancora il sito del mensile di economia, “nessuno dei due massimi dirigenti francesi [né il presidente, né il ministro per gli Affari esteri] ha citato Total, importante investitore in Birmania dal 1992”.

Il Financial Times Deutschland attribuisce esplicitamente a Parigi l’inerzia dell’Unione nei confronti della giunta militare birmana, e ricorda anche che nel 2007, in occasione del primo inasprimento delle sanzioni europee, “era sicuramente il caso di mettere un veto alle importazioni di petrolio dalla Birmania. Ma secondo i diplomatici l’iter di questa sanzione – proposta da alcuni Paesi – si è arenato a fronte della resistenza francese. Total, il gigante petrolifero francese, opera in Birmania. Certo, Sarkozy ha condannato vigorosamente la sentenza che prevede un ulteriore periodo agli arresti domiciliari per Suu Kyi, ma secondo fonti diplomatiche una restrizione delle importazioni di petrolio non è ancora in vista”.

Tags
Ti è piaciuto questo articolo? Noi siamo molto felici. È a disposizione di tutti i nostri lettori, poiché riteniamo che il diritto a un’informazione libera e indipendente sia essenziale per la democrazia. Tuttavia, questo diritto non è garantito per sempre e l’indipendenza ha il suo prezzo. Abbiamo bisogno del tuo supporto per continuare a pubblicare le nostre notizie indipendenti e multilingue per tutti gli europei. Scopri le nostre offerte di abbonamento e i loro vantaggi esclusivi e diventa subito membro della nostra community!

Sei un media, un'azienda o un'organizzazione? Dai un'occhiata ai nostri servizi di traduzione ed editoriale multilingue.

Sostieni il giornalismo europeo indipendente

La democrazia europea ha bisogno di una stampa indipendente. Voxeurop ha bisogno di te. Abbònati!

Sullo stesso argomento