Le tre scimmiette negli uffici del premier del Lussemburgo, 14 luglio.

Va tutto bene, va tutto bene

Stando ai risultati degli stress test pubblicati il 15 luglio le banche europee sono solide. Ma gli scenari non prevedevano la possibilità del default di uno stato, un'ipotesi sempre più realistica.

Pubblicato il 18 Luglio 2011 alle 15:48
Le tre scimmiette negli uffici del premier del Lussemburgo, 14 luglio.

É ancora possibile rimediare agli errori commessi dai governi europei durante la crisi e obbligare il sistema finanziario a fare davvero trasparenza sui propri conti e rischi? Le autorità di regolamentazione ci hanno provato, ma hanno fallito. L’esito degli stress test, che doveva ridare fiducia alle banche europee, non ha convinto fino in fondo.

I dati divulgati dalle autorità europee di regolamentazione non sembrano all’altezza della posta in gioco: su 90 istituti bancari messi alla prova, soltanto otto (uno austriaco, due greci, cinque spagnoli) non rispettano i criteri previsti di un rapporto minimo del 5 per cento tra capitale ed esposizione. Queste banche necessitano di capitali ulteriori nell’ordine dei 2,5 miliardi di dollari, secondo l’autorità di regolamentazione, e avranno soltanto tre mesi di tempo per presentare un piano di ricapitalizzazione. Di conseguenza, nel bel mezzo della crisi dell’euro sarebbe indispensabile ricapitalizzare il sistema bancario europeo, anche se per una cifra inferiore a quella dell’anno scorso, quando alle banche era stato chiesto di procedere in tempi brevi a una ricapitalizzazione di 3,5 miliardi di euro.

L’autorità europea giustifica tale disposizione spiegando che la sola prospettiva di dover superare da capo gli stress test ha spinto le banche ad anticipare il giudizio conclusivo. Tra gennaio e marzo hanno raccolto oltre 60 miliardi di euro per ricapitalizzarsi. Se il rischio è di tale entità, come giustificare allora la sfilza di piani di austerity in tutta Europa? Perché sui mercati finanziari ci sono così tante tensioni e timori, nonché incalzanti inviti da parte di vari paesi – tra cui Cina e Stati Uniti – per tenere sotto controllo la situazione?

Secondo le stime di Standard & Poor’s, le banche europee avrebbero bisogno di altri 250 miliardi di euro, in caso di considerevole rialzo dei tassi e di grave rallentamento dell’economia. Goldman Sachs invece calcola che le banche europee dovrebbero mettere insieme almeno 29 miliardi di euro. Queste diverse opinioni, che spiegano con nitidezza la permanente mancanza di trasparenza che circonda il settore bancario, mettono in luce l’errore madornale commesso dall’autorità di regolamentazione europea nella conduzione di questi stress test: essa ha infatti tentato di soppesare tutti i rischi tranne quello che sta effettivamente per destabilizzare la zona euro e più in generale il sistema finanziario mondiale, ovvero il rischio legato al debito pubblico e alla possibilità che uno o più paesi della zona euro finiscano in default.

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L’autorità di regolamentazione europea si era ripromessa di non ripetere il fiasco dell’anno scorso: tre settimane dopo aver condotto con apparente successo gli stress test, due banche irlandesi andarono in bancarotta. Di conseguenza l’authority aveva proposto di inasprire i requisiti e le regole. Per creare il proprio scenario catastrofico – secondo l’authority, uno scenario poco plausibile – essa prevede una recessione di due anni, un forte tasso di disoccupazione e una crisi del settore immobiliare. Come hanno sottolineato i quotidiani spagnoli, la Spagna è già ben oltre un simile scenario catastrofico, avendo un’economia in recessione da tre anni, un tasso di disoccupazione superiore al 20 per cento e una bolla immobiliare che è esplosa provocando un ribasso medio delle attività immobiliari del 40 per cento circa.

Aver sottovalutato i fattori economici è solo la punta dell’iceberg: l’autorità di regolamentazione europea infatti è stata obbligata a piegarsi al diktat dei governi europei e della Banca centrale europea, secondo i quali per principio uno stato della zona euro non può fare default. Ne consegue che è inutile verificare questa ipotesi e le sue ripercussioni sulle banche. È in ogni caso chiaro che cosa abbia potuto spingere la Bce a emettere tale legge: le obbligazioni pubbliche sono considerate i titoli più sicuri in cui investire, quelli che costituiscono lo zoccolo duro dei capitali delle banche e delle compagnie di assicurazione, e lo zoccolo duro del sistema finanziario nel suo complesso. Se questi titoli dovessero diventare anch’essi a rischio, allora al sistema finanziario mancherebbe la terra sotto i piedi. Non ci sarebbe più un solido punto d’appoggio per la creazione monetaria. Archimede non può sollevare il mondo.

Purtroppo, i princìpi non sempre vanno a braccetto con la realtà. Oggi l’indebitamento pubblico di Grecia, Irlanda e Portogallo scotta tra le mani di tutti gli attori finanziari. Malgrado i molteplici piani di austerità e di incentivo in Europa, i titoli a dieci anni di questi tre paesi oscillano tra un tasso del 13 per cento (nel caso dell’Irlanda) e del 16 per cento (nel caso della Grecia). Il contagio ormai incombe sul nucleo della zona euro: i tassi di Italia e Spagna hanno superato questa settimana il 6 per cento, considerato la soglia critica per l’euro, ovvero il momento in cui scatta il meccanismo fatale.

Causa del suo male

L’authority ha tentato di salvare la faccia chiedendo a tutte le banche di pubblicare molteplici dati affinché tutti potessero farsi un’idea precisa della loro esposizione. Ancor prima della pubblicazione, la banca regionale tedesca Helaba ha strillato che si trattava di una minaccia per la concorrenza e si è ritirata dall’intera operazione. La federazione bancaria tedesca si è unita alle critiche, spiegando che questa trasparenza era negativa per il ritorno della fiducia. È una grave ipocrisia, in quanto pur deplorando il protrarsi di una certa opacità, le banche tra di loro fanno comunella. Da parecchie settimane, nel massimo silenzio, il mercato interbancario si prepara a paralizzarsi: le banche rifiutano di erogare prestiti a quelle che sembrano più fragili.

La diffidenza non riguarda soltanto le banche greche, portoghesi o irlandesi, sostenute incessantemente dalla Bce e dalle loro banche centrali, ma anche alcune banche spagnole, alcune banche regionali tedesche o altre ancora, come Dexia. La Commissione europea si dichiara preoccupata per la pubblicazione di tutti questi dati: “Non si deve sottovalutare il rischio che gli analisti le utilizzino per stabilire i loro stessi stress test sulle banche” spiega un documento riservato europeo citato da Bloomberg, che così prosegue: “I risultati presentati dall’autorità di regolamentazione potrebbero essere smentiti dai test di mercato”.

Tutta questa preoccupazione è legittima, ma non è che la conseguenza di scelte precise dei governi europei. Impedendo alle banche di fare trasparenza, ripulire i loro bilanci e ristrutturare o chiudere alcuni istituti, si sono messi di loro spontanea volontà nelle mani dei mercati. Continuando testardamente ad aggrapparsi al loro rifiuto, hanno dato le armi giuste in mano agli speculatori. E il peggio deve ancora venire. Il 21 luglio, in occasione di un meeting straordinario, i governi europei assaporeranno di nuovo l’amaro frutto della loro capitolazione di fronte al mondo finanziario. (traduzione di Anna Bissanti)

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