Sfântu Gheorghe (Transilvania): membri della minoranza ungherese protestano contro la rimozione dai loro incarichi degli alti funzionari della loro comunità da parte del governo, 20 giugno 2009. Foto: www.sfantugheorgheinfo.ro

Gli occhi dolci di Bucarest alla Transilvania

A fronte della crescente richiesta di autonomia da parte della minoranza ungherese in Transilvania, sostenuta a Budapest dagli estremisti nazionalisti, Bucarest sta raddoppiando gli sforzi per garantire la loro fedeltà alla bandiera rumena.

Pubblicato il 26 Agosto 2009 alle 14:24
Sfântu Gheorghe (Transilvania): membri della minoranza ungherese protestano contro la rimozione dai loro incarichi degli alti funzionari della loro comunità da parte del governo, 20 giugno 2009. Foto: www.sfantugheorgheinfo.ro

Alla fine di giugno, il presidente rumeno Traian Basescu è andato in Transilvania, nella città di Tîrgu Mures, per una visita strategica. Questa regione centrale della Romania, situata nel cuore dei Carpazi, ha avuto una storia movimentata negli ultimi 150 anni. La Transilvania fu infatti annessa al regno d'Ungheria in seguito al compromesso austro-ungarico del 1867. Seguirono anni di politiche di magiarizzazione forzata, che portarono al conflitto tra i magiari e gli altri gruppi etnici. Dal 1918 in poi i rumeni imposero la loro dominazione, con atti di violenza nei confronti della popolazione ungherese. Le violenze si sono ripetute anche nel 1990, subito dopo la caduta del regime di Ceausescu a Tîrgu Mures. Molti ungheresi furono costretti a lasciare la città, quando dalle manifestazioni pacifiche per una maggiore autonomia alla regione si passò agli scontri con la comunità rumena, fomentati, si dice, dagli uomini della Securitate, i servizi segreti della Romania comunista, che erano ancora in servizio.

Tuttavia, Tîrgu Mures ancora ospita la più vasta popolazione magiarofona della Romania (70mila persone). Il presidente non ha scelto a caso questo luogo carico di storia come teatro delle sue dichiarazioni alla comunità ungherese: “Vi amo tutti. Tutti voi che avete in tasca carte d'identità e passaporti rumeni”, e poi ha definito la città “un esempio modello di coabitazione pacifica”. Agli occhi dei politici locali della comunità rumena, la scelta del luogo e il contenuto del discorso fanno parte di una strategia saggiamente calcolata da parte del capo di stato rumeno. Secondo loro, Basescu cerca di garantirsi già da ora il sostegno dell'Unione Democratica degli Ungheresi di Romania in vista delle elezioni presidenziali di questo inverno.

Inoltre, i rapporti di forza iniziano a capovolgersi nella vicina Ungheria. Il partito della destra nazionalista Fidesz, guidato da Viktor Orban, guadagna consensi e dovrebbe vincere le prossime elezioni legislative. Non è da escludere che anche il partito di estrema destra Jobbik avrà la sua parte nell'esecutivo di Budapest. I due partiti evocano nei loro discorsi la grande Ungheria dimenticata. Orban ha già fatto campagna anche in Transilvania, ed è questa influenza che Basescu vuole contrastare con la sua “dichiarazione di amore condizionata” agli ungheresi-rumeni. La condizione per essere “amati” dal presidente è quella di giurare fedeltà allo stato rumeno.

La minoranza ungherese si aggira intorno a 1.4, 1.6 milioni di persone sui 22 milioni totali che abitano la Romania. Circa la metà dei magiarofoni che abitano in Transilvania – 700mila persone circa – appartengono alla minoranza dei Siculi. Oggi sono loro a rivendicare con fermezza una maggiore autonomia. Sfântu Gheorghe è il nome rumeno di una cittadina di 62.000 abitanti, la cui popolazione è per tre quarti ungherese. Il fatto che l'arteria principale della città, “via 1 dicembre 1918”, ricordi la data dell'annessione della Transilvania alla Romania è una continua provocazione per la maggior parte magiarofona della popolazione. E la statua dell'eroe nazionale rumeno Michel Le Brave (Mihai Viteazul) che domina la città, è per molti ungheresi una spina nel fianco.

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Il sindaco Arpad Andras Antal, dal nome di chiara origine ungherese, non fa mistero dei suoi sentimenti. Per la maggioranza ungherese della sua città, è semplicemente insopportabile che, per esempio, polizia e carabinieri reclutino soltanto rumeni che non parlano una parola di magiaro. Prima della secondo guerra mondiale, gli abitanti della Transilvania conoscevano di norma almeno tre lingue: il rumeno, il tedesco e il magiaro. Secondo Antal, la fine dei paesi comunisti come la Jugoslavia, ha fatto paura agli uomini politici rumeni. I siculi sperano quindi nell'autonomia, sul modello del Trentino Alto Adige in Italia o della Catalogna in Spagna. Gli ungheresi di Romania ripongono invece le loro speranze nell'Unione Europea. Ma già sono stati delusi: l'Ue considera infatti il problema della loro minoranza come un affare interno alla Romania. Antal constata un fenomeno di “rumenizzazione rampante”: ovvero, secondo lui, i rumeni sono sempre più radicati, in particolare sono previste delle nuove caserme, e tutto allo scopo di limitare ancora di più la minoranza ungherese. Quest'ultima, osserva il giovane sindaco, si è radicalizzata negli ultimi tempi. C'è ormai una nuova generazione di rappresentanti politici della minoranza ungherese, e i giovani eletti dalla popolazione non hanno più paura di avanzare richieste radicali.

UNGHERIA E SLOVACCHIA

Il silenzio assordante dell'Unione

Dopo l'arrivo al governo slovacco nel 2006 di una coalizione di nazionalisti e populisti, le relazioni tra Budapest e Bratislava continuano a deteriorarsi e si concentrano sulla questione della minoranza ungherese in Slovacchia. Di fronte alla crescente ondata di violenza l'Ue rimane passiva, si rammarica Gabor Stier sul quotidiano ungherese Magyar Nemzet.

L'Unione Europea, come accade spesso, tace. Adotta la politica dello struzzo e cerca di ignorare la polemica in corso tra due suoi stati membri. Il portavoce Ue appare desolato mentre annuncia che non è prevista alcuna misura per la regolazione dei conflitti di questo genere. È tutto. Il prossimo? Se potesse parlare di più, probabilmente l'apparato di Bruxelles aggiungerebbe che l'Ue non ne vuole più sapere di questi conflitti nei Balcani settentrionali, e che molti si sono già pentiti di questa importante concessione che ha dato però tanto filo da torcere. All'inizio del secolo scorso, la parte più fortunata d'Europa ragionò probabilmente con la stessa cinica disinvoltura sulle tensioni della nostra regione. I grandi, insensibili, hanno cercato di regolare questi conflitti delicati a colpi di ascia. Il risultato è noto. La situazione attuale è sotto gli occhi di tutti, ma allora come avere fiducia nei valori europei? Il Trattato di Nizza dimentica curiosamente di fare riferimento alla questione delle minoranze. Quello di Lisbona dichiara che l'Ue rispetta i loro diritti. Ma, sia chiaro, prima bisogna accettare questi documenti. È assurdo che l'Ue non intervenga nella disputa tra due suoi stati. A maggior ragione visto che offre volentieri i suoi uffici al di fuori delle frontiere europee per mediare, pacificare e stabilizzare i conflitti. Il suo è un comportamento irresponsabile e suicida. Il suo silenzio, che incita molti a voltargli le spalle, la indebolisce moralmente. E, ancora peggio, sul piano strategico questi conflitti minano alle fondamenta la casa europea ancora in costruzione.

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