Rose appassite contro Barroso

La crisi dovrebbe fare della destra un bersaglio facile. Allora come si spiega l'apatia dei socialisti europei, si chiede l'analista politica Ilana Bet-El.

Pubblicato il 27 Maggio 2009 alle 17:17

Mentre mi aggiravo sbadigliando tra le proposte dei partiti politici in vista delle elezioni europee, sono stata colpita dal commento di un giornalista sui socialisti: “Ci vuole un bel coraggio per un gruppo che annovera tra i suoi affiliati i laburisti britannici per cercare di distinguersi dai partiti conservatori con la formula: ‘Loro seguono il mercato. Noi le nostre convinzioni’”.

È vero, ma c'è di peggio. Dove i socialisti toccano davvero il fondo è nella loro incapacità di esprimere un candidato alla presidenza della Commissione europea, soprattutto a causa delle loro liti e divergenze.

A parte il ridicolo – come può un gruppo che aspira al potere non riuscire a esprimere un candidato per la leadership? – questa situazione ha tre grosse implicazioni. La prima è che non ci sarà gara per una delle cariche più importanti dell’Unione europea. In realtà il presidente in carica, José Manuel Barroso, non solo avrà il sostegno del suo raggruppamento di centrodestra, il Ppe, ma probabilmente anche quello di parte o della totalità dei socialisti.

La seconda implicazione è che Barroso non è necessariamente un buon candidato, ma vincerà. La scorsa settimana Bruxelles è rimasta scioccata quando un commentatore del Financial Times ha affermato: “Non c’è niente di più ripugnante nella politica europea dell’apparente inevitabilità di altri cinque anni di José Manuel Barroso, il presidente portoghese della Commissione. Ha passato la maggior parte degli ultimi anni a cercare di assicurarsi la rielezione anziché pensare a fare il suo lavoro (…). A mio avviso, Barroso è tra i presidenti della Commissione più deboli di sempre, un uomo inutile che manca di coraggio politico”.

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La cosa interessante è che poche delle persone con cui ho parlato nelle istituzioni europee dissentono davvero da questa affermazione. Resta il disdicevole fatto che, su oltre 400 milioni di persone, a quanto pare solo una – giudicata inadeguata, se non peggio – è considerata per il posto di presidente della Commissione. È quantomeno una statistica stupefacente.

C’è una terza e ultima implicazione: i socialisti europei, in ogni stato membro e come raggruppamento Ue, sembrano trovarsi in una situazione a metà tra il caos e la possibile disintegrazione. Non è una novità, ma le manifestazioni pubbliche di questo stato di cose diventano sempre più frequenti. In Gran Bretagna da anni il Labour non ha più niente ha che fare con il socialismo. In Francia è stato affascinante – seppur raccapricciante – osservare le lotte intestine tra socialisti alle elezioni presidenziali del 2007 e in quelle di quest’anno per la segreteria. Ciò sarebbe già abbastanza grave, se non fosse che siamo in mezzo alla peggiore crisi finanziaria dagli anni trenta e i socialisti non si vedono da nessuna parte. Dovrebbero essere impegnati a far piazza pulita, cacciando i partiti di centrodestra dalla scena; invece sono sfavoriti ovunque nei sondaggi, sia nazionali sia europei.

È ora che i partiti socialisti riflettano seriamente su cosa sono e cosa rappresentano, e comincino ad assumersi qualche responsabilità in merito. Se non riescono nemmeno ad accordarsi su un candidato per una carica europeo, come possono aspettarsi che i cittadini ripongano fiducia in loro per decisioni politiche di più ampia portata? Questo sì che è coraggio.

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