A testa bassa verso il baratro

Dopo l'allarme dell'Fmi i governi europei si sono impegnati ad adottare "tutte le misure necessarie" per evitare il collasso dell'Eurozona. Ma tutto fa pensare che continueranno sulla strada percorsa finora: quella sbagliata.

Pubblicato il 26 Settembre 2011 alle 15:00

"É possibile essere allo stesso tempo atterriti e annoiati? È così che mi sento di fronte ai negoziati in corso su come rispondere alla crisi economica dell’Europa, e sospetto che altri commentatori condividano questo stato d'animo", scrive Paul Krugman, mentre europei, americani e BRICs sono riuniti a Washington per l'assemblea generale del Fondo monetario internazionale (FMI).

Krugman definisce "preoccupante, molto preoccupante" la situazione dell'Europa, poiché, sostiene "è a rischio l'esistenza stessa della moneta unica". Inoltre, aggiunge, i responsabili politici europei sembrano decisi a proseguire sulla stessa via, ossia "offrire altro credito ai paesi nei guai". Ma, avverte l'editorialista, "senza politiche fiscali e monetarie più espansionistiche nelle economie più forti d'Europa, tutti i loro tentativi di salvataggio falliranno".

Alla tentazione di attuare politiche di austerity fiscale accoppiate a finanziamenti di emergenza, applicata finora, Krugman contrappone la necessità di una politica di tassi di interesse bassi — l'opposto di ciò che la Banca centrale europea è andata facendo dal 2008 a questa parte — in modo da rilanciare le esportazioni dalla Germania, vero e proprio motore dell'economia tedesca, verso i paesi debitori.

Ma per questo, sostiene Krugman, i dirigenti europei dovrebbero fare un passo al quale non sembrano pronti: "non vedo alcun segno che le élite europee siano disposte a ripensare il loro dogma di denaro costoso e austerità". Il motivo? la loro "memoria storica selettiva", che, richiamando lo spettro della crisi tedesca dei primi anni venti, dimentica "le politiche di Heinrich Brüning, cancelliere tedesco dal 1930 al 1932, che insistendo sul pareggio del bilancio e sul rispetto del gold standard fece della Germania il paese europeo più colpito dalla Grande Depressione, preparando il terreno a ciò che ben sappiamo".

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Nulla di simile è previsto per l'Europa del XXI secolo, ma, conclude Krugman, "c'è un divario abissale tra ciò di cui l’euro ha bisogno per sopravvivere e ciò che i leader europei sono disposti a fare o anche solo a prendere in considerazione."

La versione integrale in italiano di questo articolo è uscita su La Repubblica il 27 settembre 2011.

Scenari

Il terrorismo delle banche

Mentre l'euro viene seriamente rimesso in discussione, c'è chi si ostina a parlare di "scenari catastrofici" che alla fine "non faranno altro che avvantaggiare le banche", scrive Ewald Engelen su Nrc Handelsblad. Secondo il docente di geografia finanziaria dell'Università di Amsterdam le "guerre civili", l'"effetto valanga" e altre catastrofi evocate "dai famosi think-tank, dagli economisti di fama mondiale e da istituti di credito giudicati più o meno stabili" non sono affatto "ipotesi realistiche". Anche se "dovesse verificarsi il doloroso addio della Grecia all'eurozona paventato da molti, è poco probabile che l'esempio venga seguito da altri paesi", sottolinea Engelen.

"Certo, se la Grecia risulterà insolvente e reintrodurrà la dracma i creditori meno scrupolosi (Bnp Paribas, Dexia, Commerzbank) crolleranno". Ma la verità è che "questi istituti di credito dipendono già dalle banche centrali. Nel gergo bancario vengono chiamati 'dead man walking' [come i condannati a morte in cammino verso il patibolo]. Non è detto che il fallimento della Grecia cambi qualcosa. E allora perché tante previsioni apocalittiche? Personalmente vedo una sola ragione plausibile: le banche, con le minacce e il ricatto, stanno cercando ancora una volta di far pagare ai contribuenti le conseguenze della loro incompetenza".

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