"A Reykjavik nessuno ha festeggiato il 24 febbraio, quando la Commissione europea ha dato il via libera ai negoziati per l'adesione dell'Islanda all'Unione europea", scrive Hjortur J. Gudmundsson su euobserver.com. Il motivo è semplice. Nonostante l'entusiasmo suscitato a Bruxelles dalla domanda di adesione presentata in estate dal governo di Johanna Sigurdardottir, che aveva spinto la Commissione a sfidare l'ira di candidati in fila da anni come Croazia e Turchia prospettando l'ingresso dell'Islanda già nel 2011, gli islandesi non hanno mai voluto l'Europa, e la disputa sul debito di Icesave non li ha certo aiutati a cambiare idea: il referendum sul rimborso del debito è stato rifiutato addirittura dal 93 per cento dei votanti.
"Secondo gli ultimi sondaggi, il 56 per cento degli islandesi è contrario all'adesione, e il partito socialdemocratico, vincitore delle elezioni dello scorso aprile e suo principale promotore, è precipitato al terzo posto dopo le forze di opposizione", rivela Gudmundsson, secondo cui "la domanda di adesione era solo il risultato dei maneggi tra i due partiti al governo, uno dei quali, il movimento Sinistra verde, è decisamente euroscettico. In Islanda l'adesione è stata soprannominata 'bjölluat', ovvero lo scherzo in cui qualcuno suona un campanello e poi scappa via". Superato il panico finanziario anche grazie alla mano tesa da Bruxelles, insomma, gli islandesi adesso preferiscono tornare ad approfittare della loro libertà di manovra, almeno fino alla prossima crisi.
Ancora più drastico Jean Quatremer sul suo blog Coulisses de Bruxelles: "un eventuale referendum sull'adesione sarebbe perso in partenza. Se nel momento peggiore della crisi finanziaria gli islandesi sembravano vagamente attratti dall'ombrello dell'Unione e soprattutto dell'euro, oggi le cose sono cambiate parecchio. È stato il governo socialdemocratico a tirare il braccio all'opinione pubblica e al parlamento per ottenere la presentazione della domanda".
Prima di incappare in una clamorosa figuraccia, quindi, la Commissione dovrebbe affrettarsi a rifiutare la domanda islandese, e trarre da questa vicenda una lezione per il futuro: "L'Unione dovrebbe smettere di aprire negoziati con paesi che essa stessa riconosce non essere pronti per l'adesione, e capire che ogni nuovo ingresso ha un prezzo, non solo per il nuovo arrivato ma anche per i suoi futuri partner". Come dimostra il caso della Grecia, che è entrata prima nell'Unione e poi nell'euro nonostante i molti dubbi sulla sua capacità di mantenere gli impegni presi. Dubbi che nessuno ha avuto il coraggio di esprimere al momento opportuno, ma che si sono purtroppo rivelati più che fondati. "Bisogna chiarire simili equivoci prima di ripartire con l'allargamento".