Antonio Tajani: “l’industria è la chiave della ripresa”

Pubblicato il 20 Maggio 2013 alle 11:16

Antonio Tajani è commissario europeo all'Industria, un settore messo a dura prova dalla crisi e su cui diversi stati membri puntano per rilanciare la loro economia.

In margine al Festival internazionale di giornalismo di Perugia, in Italia, Tajani ci ha parlato delle strategie dell'Ue per rilanciare l'economia europea, della sua visione della crisi che colpisce l'Unione, della sua relazione con i cittadini e del futuro dell'Europa.

In questo momento la crisi è molto forte in Europa e in diversi paesi la disoccupazione ha raggiunto livelli record. Secondo diversi esperti la competitività delle imprese europee - a eccezione di quelle tedesche - e la debolezza della domanda interna sarebbero all'origine di questa situazione. Come si può invertire questa tendenza?

Con una politica che permetta alle imprese di ricominciare a produrre. Questo è possibile attraverso una semplificazione dell'accesso al credito e dei pagamenti che ne derivano. Per questo motivo la Commissione ha proposto la nuova direttiva contro i ritardi di pagamento, che è già stata adottata da 18 paesi membri. Questa direttiva, insieme a un'interpretazione flessibile del patto di stabilità che permetta il pagamento dei debiti contratti dalle amministrazioni, dovrebbe rimettere in circolazione in Europa più di 180 miliardi di euro e rilanciare il circolo virtuoso della produzione e del consumo.

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Inoltre si dovrà dare più potere alla Banca centrale europea (Bce). L'istituto dovrebbe avere lo stesso ruolo della Federal Reserve americana. Il suo presidente, Mario Draghi, è su questa posizione e vorrebbe una Bce capace di governare la moneta nell'interesse dei cittadini.

I divari salariali fra i paesi europei creano delle differenze di competitività fra le imprese e secondo alcuni falsano la concorrenza all'interno dell'Ue. L'Unione vuole intervenire in favore di un'armonizzazione in questo settore?

A minacciare la competitività non sono tanto i divari salariali fra i paesi quanto la pressione fiscale sulle imprese, che in alcuni paesi è eccessiva. È in questo settore che bisogna intervenire. Gli stati devono alleggerire la pressione fiscale, pagare le imprese e facilitare l'accesso al credito. In ultima analisi questo si traduce in condizioni migliori per tutti i lavoratori.

Il 2012 è stato un anno nero per l'industria automobilistica europea e il 2013 non dovrebbe essere molto diverso, a eccezione del gruppo Volkswagen. Cosa farà l'Ue?

Abbiamo lanciato un piano di azione in tre punti. In primo luogo nel prossimo bilancio saranno raddoppiati i fondi per la ricerca e lo sviluppo nel settore automobilistico. In secondo luogo dobbiamo adottare una politica commerciale "non ingenua", cioè in grado di proteggere gli interessi dell'industria automobilistica nel quadro degli accordi commerciali. Il terzo punto è una semplificazione delle regole esistenti e l'elaborazione di nuove regole o proposte solo in casi eccezionali, come in materia di sicurezza stradale. Lo scopo è quello di non far gravare la parte normativa - e finanziaria - sulle spalle degli imprenditori.

Ritiene che valga la pena sostenere un settore come quello automobilistico, mentre un numero sempre più grande di città vuole ridurre il numero di mezzi in circolazione?

Questo però non significa una riduzione del numero di vetture prodotte. Gli aiuti al settore devono essere fatti in modo intelligente e infatti il raddoppio dei finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo riguarderanno solo le automobili "verdi" - elettriche, a idrogeno e quelle meno inquinanti.

Le previsioni indicano che nel 2050 nel mondo ci saranno due miliardi e mezzo di veicoli, rispetto al miliardo e 700mila di oggi. C’è quindi margine per l'internazionalizzazione. La Fiat per esempio ha degli impianti in Brasile e i loro buoni risultati permettono all'impresa di mantenere i suoi stabilimenti in Italia.

Quando saranno esaminate queste proposte dal Consiglio?

A fine giugno si terrà un Consiglio sulla competitività. All'inizio dell'anno c'è stato un Consiglio sull'industria incentrato sull'attività industriale. Un terzo dedicato alla difesa è previsto per la fine dell'anno. Dopo diversi anni in cui l'industria è stata trascurata dai politici, che avevano preferito occuparsi di finanza, l'Europa la sta finalmente rimettendo al centro dell'economia. Ci siamo prefissati l'obiettivo di portare il settore manifatturiero al 20 per cento dell'attività economica dell'Ue, mentre oggi siamo in media sotto il 16 per cento.

La deindustrializzazione avviata in Europa negli anni ottanta è stata identificata come una delle cause della crisi economica. È possibile invertire questo processo?

La deindustrializzazione è stata un grosso errore. Abbiamo bisogno di un'industria più moderna e competitiva e per fare questo serve una terza rivoluzione industriale. Dopo quella del carbone e quella del petrolio, adesso è il momento della rivoluzione a bassa energia, delle energie verdi e delle cosiddette tecnologie key-enabling, cioè delle biotecnologie o delle nanotecnologie che permettono all'industria di essere all'avanguardia a livello mondiale

In questa politica di sostegno all'industria quali sono i suoi rapporti con gli altri membri della Commissione, in particolare nel settore dell'Ambiente e della Ricerca?

Con Connie Hedegaard, commissaria all'Ambiente, siamo in perfetta sintonia. La volontà di ridurre le emissioni di anidride carbonica è un'ottima cosa, a patto però che non diventi controproducente. Di conseguenza ritengo valido l'obiettivo di arrivare a una riduzione del 20 per cento [delle emissioni entro il 2020 rispetto al 1990], ma non penso che bisogni aumentare questo obiettivo come suggeriscono alcuni, perché questo rappresenterebbe un costo in più per le imprese europee. Così facendo spingeremmo le imprese a lasciare l'Europa con il risultato di perdere dei posti di lavoro. In ultima analisi perderemmo la battaglia contro il riscaldamento climatico perché queste imprese andrebbero a inquinare in altri paesi più flessibili in materia di emissioni di anidride carbonica.

L’ultimo Eurobarometro mostra una riduzione preoccupante della fiducia degli europei nei confronti delle istituzioni Ue. Come si può combattere questa disaffezione?

Questo allontanamento dalle istituzione europee è una conseguenza della crisi economica. L'Europa appare agli europei come un'istituzione che chiede solo sacrifici. Bisogna cambiare mentalità e interpretare i risultati elettorali nei diversi paesi dell'Unione dove è apparso un atteggiamento ostile all'euro. Per fare questo bisogna cambiare politica, puntando più sulla crescita e sull'economia reale. Basta con i sacrifici e facciamo di più per aiutare l'industria, le imprese e il mercato interno, come ha sottolineato di recente il presidente della Commissione José Luis Barroso. Il rigoreb serve solo se è accompagnato da misure di sostegno alla crescita.

Su questo punto ritiene che la Commissione comunichi in maniera efficace e soddisfacente?

Da questo punto di vista c'è uno sforzo da fare, in particolare per spiegare quello che facciamo. Io stesso viaggio molto proprio perché è importante far conoscere quello che facciamo. Quest'anno per esempio abbiamo lanciato un'iniziativa che mira a far incontrare l'Europa e i suoi cittadini con riunioni nelle piazze, nei municipi e così via.

Tra un anno ci saranno le elezioni europee. Lei sarà candidato?

Non penso, conto di portare a termine il mio mandato [che finirà nell'ottobre 2014].

Che cosa pensa della proposta lanciata da diversi politici e intellettuali europei, e ripresa dai socialisti e democratici europei, di presentare come capolista il loro candidato alla presidenza della Commissione europea?

In linea di principio sono favorevole all'idea che il presidente della Commissione sia eletto dai cittadini. La rielezione di Barroso dopo la vittoria del Partito popolare europeo alle elezioni europee del 2009 andava in questa direzione e in un certo senso rispondeva alla richiesta di maggiore democrazia nella designazione delle istituzioni europee.

Chi potrebbe essere il candidato del Ppe?

Nel partito non si parla ancora di un candidato. L'argomento sarà affrontato l'anno prossimo.

Siamo in un periodo cruciale per l'Unione. Oggi l'Ue deve fare i conti con le pressioni euroscettiche e la tentazione di isolamento di diversi paesi. Come vede il futuro?
Penso che dobbiamo continuare ad andare avanti. Mettere delle toppe non serve a niente, dobbiamo andare verso gli Stati Uniti d'Europa. Rimanendo in mezzo al guado si rischia di essere travolti dalla piena. Ovviamente questo richiederà tempo, gli americani ci hanno messo più di un secolo, sono passati attraverso una guerra civile e forse avevano meno problemi di noi. In questo momento ci sono delle difficoltà, ma solo 20 anni fa chi immaginava che ci sarebbe stata una moneta comune? Dobbiamo essere determinati e ottimisti, perché in un contesto globale non possiamo pensare di agire da soli. Ovviamente tutto questo non sarà fatto domani, ma spero comunque di essere ancora presente per poter vedere gli Stati Uniti d'Europa.

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