Il nostro uomo al Cairo?

Pubblicato il 28 Gennaio 2011 alle 16:31

Il ritorno di Mohamed El Baradei in Egitto e la sua autocandidatura a leader del movimento di rivolta hanno entusiasmato molti analisti occidentali, convinti che l'ex direttore dell'Aiea possa essere l'uomo giusto per garantire una transizione ordinata dal traballante regime di Mubarak a un sistema più affidabile. Più che le sue credenziali democratiche, a far salire le sue azioni è la sua posizione di pressoché unica alternativa a un'affermazione dei Fratelli musulmani in caso di elezioni: El Baradei sembra in grado di porsi alla testa di una coalizione che includa l'indispensabile supporto del partito islamico mantenendo un atteggiamento amichevole verso l'occidente.

Scottata dalla recente figuraccia tunisina, l'Europa non ha ancora preso una posizione chiara. Angela Merkel si è smarcata affermando che non è il caso di immischiarsi nella politica interna egiziana. Il nostro Frattini ha invece ribadito il suo supporto ai regimi arabi, offrendo addirittura un "team di supporto politico" per contribuire al "mantenimento dell'ordine" nei paesi minacciati dalle rivolte popolari. Una proposta che ricorda sinistramente i "team" mandati da Usa e Urss a reprimere il dissenso nei rispettivi paesi satellite ai tempi della guerra fredda, e un'uscita decisamente miope, che dimostra che non tutti hanno ancora compreso l'impatto della caduta di Ben Ali sui rapporti tra noi e il mondo arabo.

In Egitto l'Unione cammina sulle uova. La compiacenza – o anche solo il silenzio – nei confronti di Mubarak annienterebbero quel poco che resta del suo soft power nella regione. Rimanere aggrappati ai vecchi alleati significa correre il rischio di cadere con loro, rendendo estremamente difficili i rapporti con i nuovi poteri che potrebbero emergere. Ma sostenere apertamente El Baradei potrebbe rivelarsi ancora più controproducente.

Come ha ricordato a La Stampa Ian Lesser del German Marshall Fund, "il mondo arabo vuole partecipazione ma c'è una grande resistenza all'idea che venga imposta dall'esterno, dall'Europa, dagli Usa o da altre potenze regionali". In Egitto la posizione di El Baradei è già abbastanza indebolita dalla sua vicinanza all'occidente, e il fatto che si trovasse impegnato proprio in un viaggio in Europa al momento dello scoppio dell'attuale rivolta non è stato certo un aiuto. La sua attiva partecipazione alla manifestazione del 28 gennaio potrebbe aver compensato, ma un "endorsement" troppo convinto da parte di qualche leader europeo potrebbe identificarlo come uno strumento d'ingerenza agli occhi dei nazionalisti e degli islamici ed essere usato per screditarlo.

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Che fare quindi? Un buon esempio è quello dell'approccio di Barack Obama: appoggiare le rivendicazioni dei manifestanti e denunciare gli abusi del potere, senza cadere nel paternalismo né indicare la strada da prendere. In altre parole: rispettare l'intelligenza e l'autodeterminazione degli egiziani. Una prova di buon senso abbastanza elementare, ma che visti i suoi precedenti nella regione l'Europa potrebbe comunque riuscire a fallire.

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