Gheddafi ha ancora un amico vero

Pubblicato il 10 Marzo 2011 alle 10:38

La lista degli amici di Muammar Gheddafi, un tempo lunghissima, si accorcia a vista d'occhio. Il Foglio abbozza un registro degli apostati che stanno frettolosamente sciacquandosi le guance dal cerone lasciato dai calorosi abbracci del rais: la London School of Economics, intellettuali celebrati come Joseph Nye, Anthony Giddens, Benjamin Barber e Robert Putnam, ma anche Nelly Furtado, Beyoncé, Mariah Carey e Lionel Richie. Perfino il portiere di un albergo di Udine si è fatto convincere a scrivere un instant book per spiattellare i dettagli della vita privata del figlio "calciatore" di Gheddafi, Al-Saadi, rivela la Gazzetta dello Sport.

Fino a poco fa Il Manifesto era ancora a fianco dell'"antimperialista" Gheddafi: ormai celebre l'intervista di Valentino Parlato al Sole 24 Ore, in cui agli esordi della rivolta l'anziano fondatore si definiva "un estimatore convinto del colonnello", ben più imbarazzante la corrispondenza da Tripoli dell'inviato Maurizio Matteuzzi, che ancora l'8 marzo sosteneva che "il regime di Gheddafi è, in questa fase almeno, molto attento a evitare attacchi 'sistematici' contro i civili" ed è vittima di un complotto mediatico che mira a dipingerlo come un macellaio per giustificare l'ennesima "guerra umanitaria" della Nato.

Poi però è scattata l'autocritica: Matteuzzi è scomparso dalle pagine dedicate alla crisi, e per sconfessarlo e affermare finalmente che "la Libia di Gheddafi non è né una democrazia né uno stato progressista, e che il tentativo di rivolta in corso si oppone a un clan familiare del quale si augura la caduta" si è dovuta scomodare addirittura Rossana Rossanda.

Ma è nel momento del bisogno che si riconoscono gli amici veri. E in questa categoria si iscrive di diritto Paolo Scaroni, amministratore delegato dell'Eni, che al Financial Times ha orgogliosamente dichiarato che la sua azienda sta continuando a pompare 100mila barili al giorno dagli impianti ancora in mano al colonnello. "È per il popolo libico", ha chiosato senz'ombra d'ironia. "Se possiamo produrre gas è bene per tutti", soprattutto per i mercanti d'armi a cui verranno girati gli introiti.

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"Se la comunità internazionale ci chiederà di non produrre in Libia, allora smetteremo di produrre", concede Scaroni, che nella tempesta d'ipocrisia che la rivolta libica ha alzato a perdita d'occhio ha però il merito di dire le cose come stanno: "La nostra esperienza ci insegna che chiunque arrivi al potere avrà bisogno di produrre petrolio e gas. Alla fine la nostra posizione sarà sempre forte".

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