La nebbia di guerra acceca Il Manifesto

Pubblicato il 21 Marzo 2011 alle 15:22

Parafrasando Eschilo, si potrebbe dire che la prima vittima della guerra in Libia è la lucidità. Con il suo inestricabile groviglio di interessi politici, economici e ideologici, la crisi libica ha già indotto nei personaggi pubblici e nei commentatori una vasta e tragicomica gamma di contorsionismi.

Il caso più drammatico è forse quello del Manifesto. Il quotidiano comunista, lacerato fin dagli albori della rivolta tra le sue molte anime (pacifismo attivo e passivo, simpatia per Gheddafi il campione dell'antimperialismo, antipatia per Gheddafi il dittatore), era precipitato nella guerra intestina quando un editoriale della fondatrice Rossana Rossanda aveva clamorosamente sconfessato la linea filo-Tripoli dell'inviato Maurizio Matteuzzi e invocato la caduta del rais.

Il 20 marzo è sceso in campo un altro fondatore, Valentino Parlato, che qualche settimana fa aveva già fatto discutere definendosi "un estimatore convinto del colonnello". L'editoriale di Parlato comincia con una comprensibile denuncia dell'imperialismo occidentale, interessato a sfruttare il pretesto umanitario per mettere le mani sul petrolio libico. Ma poco dopo ecco il colpo di scena:

"In questo difficile contesto come sta messo il nostro paese, cioè l'Italia, che nonostante i trascorsi coloniali aveva realizzato un ottimo rapporto con la Libia gheddafiana? Come andrà a finire l'Eni quando la guerra di Francia, Gran Bretagna e Usa sarà conclusa?"

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Cosa? L'ultimo baluardo della lotta di classe si preoccupa per gli interessi dei padroni e l'"ottimo rapporto" postcoloniale come un Panebianco qualsiasi? Il senso di straniamento è tanto più forte in quanto, all'interno della stessa edizione, il redivivo Matteuzzi colloca invece l'Italia nel fronte dei predatori imperialisti, dipingendo un "Benito La Russa che sbava per riconquistare la quarta sponda". È un equivoco? No, purtroppo. Prosegue Parlato:

"Non sappiamo come si regolerà tra i potenti la sconfitta di Gheddafi, ma una cosa almeno per noi italiani sembra certa: dopo cento anni dalla conquista della Libia l'Eni rischia di essere messo fuori o, almeno, di non godere più degli attuali privilegi. Siamo al punto nel quale forse dovremo rimpiangere Gheddafi".

Quel punto, posto che esista, sembra ancora parecchio lontano. Intanto però si può cominciare a rimpiangere i tempi in cui Parlato e Il Manifesto sapevano ancora quel che scrivevano.

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