Nebbia di guerra/2

Pubblicato il 23 Marzo 2011 alle 16:38

In un mondo multipolare non è più la potenza a determinare il rango, ma l'influenza e la capacità di stringere alleanze. In questo sottile gioco che si gioca su più scacchiere, la Francia ha messo a segno un colpo da maestro. [...] Eccola all'avanguardia di un grande affaire internazionale per mettere in condizione di non nuocere il tiranno libico.

Non è Le Figaro. Non è neanche l'opera di un addetto stampa dell'Eliseo particolarmente esaltato. È il commento uscito all'indomani dell'intervento su Libération, il giornale fondato dal Jean-Paul Sartre e altri cuccioli del maggio '68. Che due giorni dopo continua così:

Lasciare che Gheddafi massacrasse il suo popolo avrebbe mandato un messaggio sinistro ai dittatori della regione assicurando loro l'impunità, nel momento in cui i popoli arabi si battono per la libertà. L'intervento mette invece i regimi autoritari sotto pressione e li spinge ad accelerare le riforme.

Certo, dall'acquisto da parte del banchiere Rothschild molte cose sono cambiate all'ex giornale della gauche, ma tesi e toni sono gli stessi usati dai neocon statunitensi all'alba delle invasioni in Iraq e Afghanistan – ironia della guerra, a quei tempi la Francia e la sua stampa tutta denunciavano con sdegno l'imperialismo umanitario di Washington.

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Del resto si è detto e scritto in lungo e in largo del ritorno degli stati e delle logiche d'interesse nazionale, e la crisi libica suggella in modo inequivocabile l'adeguamento della stampa alla tendenza. Scoppia la polemica tra Berlusconi e Sarkozy sul controllo della missione, ed ecco che un estremista della moderazione come [Piero Ostellino](http:// http://www.corriere.it/editoriali/11_marzo_22/gli-interessi-nazionali-e-le-ipocrisie-piero-ostellino_0637e7cc-5450-11e0-a5ef-46c31ce287ee.shtml) sul già democristianissimo Corriere della Sera scopre la realpolitik e il cinismo dei grandi:

La Francia punta a sostituire l'Italia nei rapporti con la Libia (dal petrolio alle relazioni economiche e commerciali) del dopo-Gheddafi, precostituendosi relazioni privilegiate con la borghesia mercatista che subentrerà al Colonnello. [...] Siamo rimasti i soli a ritenere l'interesse nazionale un «mostro morale», e a non perseguirlo con sano realismo.

Al Manifesto intanto la guerra civile continua a infuriare. Dopo il discusso editoriale in cui Valentino Parlato avvertiva che potremmo trovarci a "rimpiangere Gheddafi", la direttrice Norma Rangeri ci tiene a precisare che "non rimpiangeremo Gheddafi". Ma poi:

Proprio noi, quelli dei 100 mila morti del colonialismo fascista, sorvoliamo i cieli della Libia con cacciabombardieri Tornado. Avremmo potuto (e dovuto), da ex potenza coloniale, seguire l'esempio della Germania e astenerci dall'intervento militare, invece sgomitiamo per essere in prima fila insieme a francesi, britannici e americani.

Come dire, nel dubbio la cosa migliore è lavarsene le mani. O anche buttarla in caciara:

Se è questa la difesa dei diritti umani, se la primavera del Maghreb e del Medio Oriente porta alla guerra, allora bisogna fare di più, regalando bombardamenti umanitari anche allo Yemen e al Bahrein, trasformando Odissey dawn nell'anteprima del nuovo ordine.

La confusione di Rangeri e Parlato è emblematica dello psicodramma di tanta sinistra pacifista italiana, che di fronte a questo groviglio edipico tra imperialismo e repressione non riesce a trovare un santo a cui votarsi, perché in questa brutta faccenda santi non ce ne sono. Meglio forse il lucido realismo con cui su L'Unità Luigi Manconi spiega il suo sostegno all'intervento:

Si può dire: preferisco che la strage si compia, con le sue conseguenze, piuttosto che arrendermi alla guerra e a ciò che la guerra porta con sé. Nell’un caso come nell’altro, non avremo salvato l’anima e saremo corresponsabili, anche solo per impotenza o ignavia, di nuovi morti. Ma una scelta va fatta. E io scelgo il male minore.

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