Un piccolo grande paese

Pubblicato il 14 Settembre 2011 alle 16:08

Sono rare in Europa le dichiarazioni d'amore per il proprio paese. Cinici, disincantati, scottati dalle guerre e dal passato… se si escludono i capi di Stato, di cui è compito precipuo, gli Europei che riescono a parlare di amor patrio senza ridere o sogghignare sono ormai una sparuta minoranza, che si concentra per l'essenziale nei partiti di estrema destra.

Luca Sofri non fa sicuramente parte di questi ultimi — è direttore del Post — eppure, nel suo saggio Un grande Paese (Rizzoli, 2011), esprime con passione il suo attaccamento all'Italia. Ma non quella di oggi : l'Italia fra vent'anni. Perché questo è il tempo che occorrerà secondo Sofri per fare della Penisola un paese di cui essere orgogliosi.

Dell'Italia odierna infatti non c'è molto da essere fieri, come ricorda Sofri, che traccia di alcuni aspetti del suo paese un ritratto allo stesso tempo lucido e contemporaneo — che si somma, non sostituisce, a quello che la maggior parte degli italiani già sa. Un paese che, unico tra quelli occidentali, negli ultimi vent'anni è regredito sia dal punto di vista culturale, che politico e sociale. Un paese plasmato dalla cattiva televisione e da una politica ancor peggiore, e in cui l'antielitismo e la demagogia sono diventati le ideologie dominanti. Un paese in cui le persone della sua generazione (i 30-40enni istruiti) fanno fatica a riconoscersi e a trovare una collocazione: mentre nel resto d'Europa sono classe dirigente, in Italia sono eternamente "giovani promettenti", che aspettano con esagerata pazienza il momento in cui i gerontocrati si faranno da parte.

Come se ne esce? Sofri formula alcuni consigli di disarmante buon senso — "fare le cose giuste", "comportarsi bene", "essere responsabili", "rispettare e valorizzare la cultura e le persone" — che farebbero sorridere (sembrano rivolti a bambini di otto anni) se non rivelassero invece a che livello di smarrimento e di regressione è giunta l'Italia. Al punto cioè che occorre tornare all'ABC della convivenza civile e dell'educazione.

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Qualche critica? Forse si può rimproverare a Luca Sofri di cercare l'ispirazione e di trovare dei paragoni troppo lontani — negli Stati Uniti di Barack Obama in particolare. Diversi paesi a noi più vicini geograficamente e culturalmente — come la Francia, la Spagna o, più particolarmente, la Germania, per citarne solo alcuni — il problema dell'amor di patria se lo pongono o se lo sono posti e hanno dato risposte più simili a quelle che, probabilmente, si potrebbero dare in Italia. E, da europeisti, gli si potrebbe anche rimproverare di non evocare l'Europa come successore più contemporaneo delle patrie nazionali, che sanno un po' di Ottocento.

Va dato atto a Luca Sofri di non avere, contrariamente a molti suoi coetanei che hanno preferito cercare fortuna all'estero o rimanere in Italia ritagliandosi un angolino tranquillo, gettato in qualche modo la spugna e di credere ancora che sia possibile fare qualcosa per il proprio paese. E, visto lo stato in cui versa l'Italia, non è cosa da poco.

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