Chi ha paura di Berlusconi

Pubblicato il 14 Dicembre 2012 alle 12:39

“Le reazioni eccitate e fuor di luogo di alcuni politici europei alla notizia di un mio impegno rinnovato in politica risultano offensive per la libertà di scelta degli italiani”: le dichiarazioni di Silvio Berlusconi in ambito europeo sono state spesso imbarazzanti, ma in questo caso è difficile dargli torto. Il semplice annuncio dell’intenzione di un cittadino Ue di esercitare un suo basico diritto democratico è bastato a scatenare una valanga di commenti dai toni indignati e apocalittici. In particolare da parte della cancelliera tedesca Angela Merkel, secondo cui il ritorno del Cavaliere sarebbe una minaccia esistenziale per l’intera Unione.

Non tutti in Germania sono di questo avviso. Sullo Spiegel Wolfgang Münchau ha scritto che a causa della candidatura di Berlusconi, che ha definito lo spread un “imbroglio” per giustificare il rigore imposto dalla Germania,

per la prima volta le politiche di crisi sono al centro della campagna elettorale in un grande paese europeo. [...] In Italia ci sarà un dibattito politico sull’opportunità di tagliare la spesa pubblica durante una recessione e di continuare a seguire il diktat tedesco sull’austerity. Penso che sia un’ottima cosa.

A parte la conclusione, questa analisi è certamente condivisa dalla maggior parte dei leader europei, ed è proprio questo il problema: finora il “Brussels consensus” su cui si è basata la risposta alla crisi dell’euro era sempre stato tenuto al riparo dal normale dibattito democratico. Le ragioni sono ovvie: la mera possibilità – per quanto remota – che il paese con il quarto debito pubblico al mondo si metta di traverso, facendo deragliare la già traballante strategia anticrisi dell’Ue, è sufficiente a scatenare il panico dei mercati e a minacciare la stabilità degli altri paesi periferici.

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La crisi ha dimostrato una volta per tutte che l’avvento dell’euro ha sottratto le politiche di bilancio alla sovranità nazionale. Tra le proposte avanzate nella cosiddetta agenda federalista è stata giustamente inclusa la creazione di un ministero delle finanze dell’eurozona che ne garantisca la convergenza. L’unione politica che dovrebbe rappresentarne la legittimazione democratica, invece, è una prospettiva ben più distante e nebulosa. Nell’attesa che si concretizzi, siamo destinati a veder continuare l’interminabile serie di “vertici decisivi” in cui i leader dei paesi più forti si accordano tra loro a porte chiuse, come in un perpetuo congresso di Vienna: un modello che la storia ha già bocciato. Continuare a imporre il rispetto delle decisioni prese tra i valzer di Bruxelles con le pressioni, le minacce più o meno velate e l’applicazione sistematica dell’etichetta di “populista” a chi si azzarda a dissentire, come avviene da tre anni in tutte le consultazioni elettorali dei paesi periferici, non potrà che favorire la proliferazione dei Berlusconi e degli Orbán.

Nel dibattito sull’unione politica viene regolarmente trascurato un particolare: l’Unione europea ha già un esecutivo e dei ministri, ovvero la Commissione europea e i suoi membri, anche se è facile dimenticarlo. Come hanno dimostrato i negoziati sul bilancio Ue, l’affermazione del metodo intergovernativo — coronata dall’istituzione della ridondante carica di presidente del Consiglio europeo — ha eclissato il ruolo della Commissione, il cui attuale presidente è stato scelto anche perché poco disposto a contraddire i suoi datori di lavoro. Ma il nodo della questione è ben più antico di José Manuel Barroso: il fatto che l’esecutivo europeo non dipenda dal Parlamento ma da una camarilla di sovrani è un’anomalia istituzionale che avvicina l’Ue alle monarchie del sedicesimo secolo più che agli stati democratici.

Come ha scritto il quotidiano olandese Trouw, “soltanto quando la composizione della Commissione europea sarà legata all’orientamento politico del Parlamento il voto dei cittadini sarà in grado di determinare la direzione dell’Ue”, mettendo finalmente un termine alla stagione dei tecnocrati e dei governi di emergenza. Nel frattempo bisognerà continuare ad avere fiducia e rispetto delle democrazie nazionali. Gli europei hanno già dimostrato di saper votare in modo responsabile quando è nel loro interesse: lasciamo che siano loro a giudicare Silvio Berlusconi e i suoi emuli.

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