È anche la nostra guerra

Pubblicato il 18 Gennaio 2013 alle 14:49

Ciò che deve accadere accade: con l'estensione all'Algeria del conflitto maliano, l'operazione militare lanciata dalla Francia una settimana fa per bloccare l'avanzata delle milizie islamiste che controllano il nord del Mali ha assunto ormai l'aspetto di una guerra lunga e difficile. Una guerra che la Francia non può sperare di vincere da sola, senza l'aiuto dei partner europei o della Nato. 
Il coinvolgimento – militare, umanitario e diplomatico – dei 27 è opportuno e dovuto anche considerando che la crisi attuale è il risultato di una situazione nota da tempo, ma che l'Europa ha voluto ignorare nascondendo la testa sotto la sabbia. Nella sua strategia per lo sviluppo del Sahel (marzo 2011) l'Ue parlava apertamente di controllo “diretto” e “indiretto” di Al Qaeda su una parte della regione, ma ha preferito puntare sull'aiuto allo sviluppo e la cooperazione regionale piuttosto che sulla lotta alle milizie islamiste.
Non c'è niente di strano, perché quello della cooperazione è un settore in cui l'Ue ha un'esperienza riconosciuta. In questo modo, però è stato ignorato uno dei principali ostacoli – se non il principale – al progresso economico di una regione che registra già un tasso di crescita invidiabile. Oggi sembra che gli europei sperino di abbattere questo ostacolo con le buone intenzioni, qualche aereo da trasporto e l'invio di istruttori per addestrare le truppe locali, incapaci di affrontare jihadisti così agguerriti e motivati. Ne abbiamo avuto l'ennesima riprova giovedì, in occasione della riunione straordinaria dei ministri degli esteri dell'Ue
Tutto lascia pensare che questo approccio non sarà sufficiente a liberare la regione dalla minaccia delle milizie, che incombe sui paesi direttamente coinvolti e sull'Europa. Neutralizzarli – si può forse negoziare con loro? – è una condizione essenziale per stabilizzare la regione e permetterne la fioritura economica. Gli europei possono ancora contare su una certa benevolenza da parte delle popolazioni locali, messe davanti alla prospettiva di una dittatura islamista. 
Che lo vogliamo o no, a causa delle sue implicazioni questa è anche la guerra degli europei. E gli europei farebbero meglio a tirare fuori la testa dalla sabbia e assumersi le loro responsabilità – da soli o collettivamente – finché possono ancora contare su un capitale di simpatia nella regione.

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