Una buona elezione

Pubblicato il 28 Febbraio 2013 alle 11:38

Il risultato delle elezioni italiane ha lasciato sgomenti un po’ tutti al di là delle Alpi, ma i leader europei dovrebbero piuttosto tirare un sospiro di sollievo: è solo per pochi decimali infatti che Angela Merkel e compagnia hanno scongiurato la prospettiva di un altro vertice con Silvio Berlusconi. La resurrezione del Cavaliere e il clamoroso tonfo di Mario Monti, l’unto di Bruxelles e Berlino, alimentano sulla stampa europea ironie sulla “benedizione” di Angela, che finisce regolarmente per trasformarsi in una sentenza di morte per le aspirazioni politiche di chi la riceve. Fa quasi tenerezza ripensare al leader del Partito democratico Pier Luigi Bersani che pochi giorni prima del voto battibeccava con Monti su chi la cancelliera avrebbe preferito vedere a capo del governo, senza neanche prendere in considerazione l’ipotesi che la maggioranza degli italiani, a cui spettava la decisione, non volesse vedervi né l’uno né l’altro.

Slavoj Žižek ha di recente sottolineato questo crescente disprezzo per la democrazia, che alcuni considerano ormai apertamente un pericolo per la stabilità economica. Molti si sono illusi che le pressioni e le intimidazioni sarebbero sempre bastate per convincere gli elettori a non fare storie e votare come devono, arrivando persino come in Grecia a far ripetere un’elezione che non aveva dato i risultati sperati. Ma in Italia non si rivoterà, almeno per il momento. La ragione è semplice: se si votasse di nuovo a beneficiarne sarebbe con ogni probabilità il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, l’uomo che ancor più di Berlusconi sta togliendo il sonno ai leader europei. Per dimostrare di non essere meno ottuso della sua rivale, il candidato socialdemocratico alla cancelleria tedesca Peer Steinbruck si è affrettato a esprimere il suo orrore per l’affermazione di questi “due clown”.

Eppure, a ben guardare queste elezioni sono piene di buone notizie. Come ha notato il direttore de La Stampa Mario Calabresi, hanno rimediato a gran parte di quelli che erano universalmente considerati i mali di un paese vecchio e bloccato: oggi l’Italia ha uno dei parlamenti più giovani d’Europa, pieno di donne e di facce nuove, e molti dei peggiori protagonisti degli ultimi vent’anni di politica italiana ne sono rimasti fuori. In un modo o nell’altro, l’enorme pressione di un rinnovamento represso da tempo immemorabile si è finalmente aperta un varco.

Gran parte del merito va proprio al M5s, che nonostante il dubbio valore personale e i toni spesso inammissibili del suo leader si è trasformato in un “casello”, sempre nelle parole di Calabresi, che ha fatto entrare decine di giovani outsider nell’autostrada a circuito chiuso della politica istituzionale. Queste persone meritano rispetto: non sono automi radiocomandati da Grillo e una volta entrati in parlamento avranno diritto al voto segreto. Sconfessando l’impegno del loro leader a non scendere a patti con nessuno, moltissimi elettori del M5s hanno già espresso la loro volontà di sostenere un possibile governo del Pd. Di tutti gli errori commessi da Bersani, fare appello a loro piuttosto che accettare l’offerta di una grande coalizione con Berlusconi non è certamente il peggiore.

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Un governo "pragmatico" sostenuto dal M5s sarebbe qualcosa di estremamente nuovo e interessante nell’Europa delle coalizioni granitiche, della governabilità come valore assoluto e del Brussels consensus. Un laboratorio in cui le decisioni non rispondano all’imperativo di ostentare stabilità di fronte ai mercati, ma alla continua dialettica che dovrebbe essere alla base della democrazia e che è l’unico modo di comporre le esigenze spesso contraddittorie di una società ormai drammaticamente frammentata come quella italiana ed europea in generale. Non sarà una passeggiata. Nel programma del M5s ci sono punti che saranno certamente accolti con favore in Europa, come il taglio dei costi della politica, e altri potenzialmente esplosivi, uno su tutti il referendum sull’appartenenza alla moneta unica. Ma dopo quattro anni di crisi la conflittualità nell’Unione e nei suoi stati membri non può più essere ridotta a una conversazione da salotto.

Come ha scritto Adriana Cerretelli sul Sole 24 Ore, “Angela Merkel ha fatto di tutto per sgombrare dalla sua strada verso le elezioni di settembre il pericolo di nuovi sussulti di instabilità europea”. Ma il fallimento è ormai evidente, e le montagne di polvere ammucchiata sotto il tappeto stanno per ribaltare il tavolo. E’ arrivato il momento di aprire una stagione di confronto, acceso e sostanziale, che non passi attraverso il consueto sistema intergovernativo a porte chiuse. Berlino e i suoi alleati non hanno più un partito in Italia, e in Spagna, dove l’intero sistema politico è ormai appeso a un filo, rischiano di ritrovarsi presto senza un interlocutore. La dialettica dell’austerity e delle contrastanti visioni sul futuro dell’Unione dovrà svolgersi alla luce del sole. Le elezioni europee del 2014 capitano a fagiolo: una campagna elettorale a livello continentale - come proposto recentemente da Andre Wilkens - in cui le idee e gli schieramenti possano misurare il proprio peso e regolare apertamente i propri conti, è forse l’ultima possibilità di evitare che la facciata del consenso europeo crolli con tutto l’edificio.

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