Una dittatura benefica?

Pubblicato il 3 Dicembre 2010 alle 13:49

La settimana scorsa è stata contrassegnata dalla pubblicazione sui maggiori quotidiani europei dei "cablogrammi" interni alla diplomazia statunitense svelati da WikiLeaks. Abbiamo "scoperto" tra l'altro che il capo del governo spagnolo è considerato un "nottambulo romantico", ma non tanto quanto il suo omologo italiano, che la cancelliera tedesca viene soprannominata "teflon" e che il presidente francese è parecchio "suscettibile". Niente di eccessivamente nuovo.

Più interessanti sono le reazioni che queste rivelazioni hanno suscitato. Da parte della politica mondiale la condanna è stata unanime. La stampa e l'opinione pubblica hanno invece espresso pareri più sfumati. La prima oscilla tra l'entusiasmo per la manna d'informazioni piovuta dal cielo e l'irritazione per il modo in cui WikiLeaks impone la propria agenda ai media.

Più in generale, da un lato c'è chi si interroga sulle reali motivazioni dell'organizzazione di Julian Assange, si chiede se l'operazione sia davvero utile alla pace del mondo, giustifica il culto del segreto venerato dalla diplomazia come strumento della sua efficacia e simbolo della ragione di stato e crede che in futuro le cancellerie raddoppieranno le precauzioni. Viene denunciata una "dittatura della trasparenza" e c'è chi arriva a sostenere che "ci sono cose che non è utile che l'opinione pubblica conosca". Insomma, non è opportuno per un re mostrarsi nudo, e non è opportuno far notare la sua nudità.

Dall'altro lato, invece, si festeggia: il "cablegate" è un inno alla trasparenza, corollario necessario alla democrazia. I cittadini hanno il diritto di sapere tutto sull'attività di chi li governa e questi ultimi hanno il dovere di non nascondere nulla. Come sintetizza l'Economist, "organizzazioni come WikiLeaks sono quanto di meglio possiamo sperare per promuovere il clima di trasparenza e di responsabilità necessario a una democrazia liberale autentica". Il re deve mostrarsi nudo, e bisogna vigilare affinché lo sia.

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Non sorprende che le reazioni del primo tipo siano più diffuse fra i "latini" mentre quelle del secondo tipo fra i popoli del nord Europa (dove il termine "anglosassoni" non è sempre gradito). Anche se probabilmente non rivoluzionerà i grandi equilibri geopolitici, il "cablegate" avrà per lo meno avuto il merito di innescare un dibattito sulle virtù della trasparenza e sul fatto che grazie a internet è diventato molto più difficile per i governi agire nell'ombra. E scusate se è poco.

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