Referendum nel Regno Unito

Quale Europa dopo la Brexit?

Quali sarebbero le conseguenze economiche e politiche della Brexit? Alla vigilia del referendum che potrebbe segnare la fine dell’appartenenza del Regno Uniti all’Unione europea l’analista Christian Chavagneux dà qualche indicazione.

Pubblicato il 21 Giugno 2016 alle 23:35

“Nel giugno 1944 Winston Churchill dichiarava al generale De Gaulle ‘Sappiatelo! Ogni volta che dovremo scegliere tra l’Europa e il mare aperto, saremo sempre per il mare aperto’”, ricorda Christian Chavagneux su Alteréco Plus. Una scelta che, osserva, non è affatto esclusa i britannici compiano il 23 giugno. “Se dovesse accadere”, aggiunge, “non ci sarà né il nirvana promesso dai sostenitori della Brexit, né l’Armageddon temuto da quelli del Remain.” Quel che è certo, è che

un voto a favore dell’uscita del Regno unito dall’Ue aprirebbe immediatamente un periodo di incertezza finanziaria, politica e commerciale per l’economia britannica per quanto riguarda le sue relazioni future con l’Europa.

Anzitutto, “la sterlina dovrebbe essere sballottata sui mercati dei cambi e andare incontro a un’importante deprezzamento”, di fronte al quale “la Banca d’Inghilterra e la Banca centrale europea hanno già annunciato che daranno alle banche britanniche tutta la liquidità di cui avranno bisogno, il tempo che si plachi la tempesta,” per poter funzionare.

Dal punto di vista politico saremmo di fronte a “un’imbroglio di cui è impossibile prevedere come andrà a finire”, poiché non è sicuro che il premier David Cameron sarà ancora al suo posto per far valere l’articolo 50 del trattato sull’Unione europea, “che regola il ritiro di un paese”. I sostenitori della Brexit hanno invece

Il meglio del giornalismo europeo, ogni giovedì, nella tua casella di posta

dichiarato voler approvare immediatamente delle leggi che limitino la libera circolazione delle persone e il potere della Corte di giustizia europea, avviando contemporaneamente dei negoziati sulle relazioni commerciali e gli investimenti con l’Unione, prima ancora che sia cominciata la procedura di ritiro, cosa che gli altri paesi europei rifiuteranno.”

E anche se questi aspetti fossero regolati, “ci sono diverse possibilità per le future relazioni con l’Europa: il Regno Unito potrebbe integrare lo spazio economico europeo”, di modo che non ci siano grandi cambiamenti:

ci sarebbe a questo punto la libera circolazione dei beni, dei servizi e dei capitali, e le istituzioni finanziarie che hanno sede a Londra potrebbero continuare a godere del cosidetto “passaporto europeo”, la possibilità cioè di vendere i loro prodotti finanziari nell’insieme dell’Unione, con dei dazi doganali un po’ più alti.

Se il Regno Unito volesse continuare a partecipare a dei programmi europei come Erasmus Plus (studenti), Galileo (Gps) o altri, “dovrà contribuire finanziariamente”, osserva Chavagneux, il ché limiterebbe di molto la riduzione del suo contributo al bilancio dell’Ue. Altre formule sono possibili: un insieme di accordi bilaterali (come con la Svizzera); una semplice unione doganale (come con la Turchia); un accordo di libero scambio (come con il Canada) e l’applicazione infine delle regole generali dell’Omc. In questo ultimo caso, “gli affari con l’Europa sarebbero molto meno facili, il ché provocherebbe la fuga di alcune imprese e un calo degli investimenti.”

L’unica che se la caverebbe comunque sarebbe la City, poiché dispone di

un sistema giuridico favorevole ai creditori, dell’inglese come lingua, di un ambiente regolamentare favorevole, di forti competenze, di infrastrutture di mercato capaci di trattare importanti volumi finanziari e di una rete di paradisi fiscali.

Al livello politico, di nuovo, “la Brexit metterebbe in posizione di forza la parte più estremista e razzista della classe politica. Non c’è dubbio sul fatto che gli altri partiti europei della stessa famiglia ne uscirebbero rafforzati sul breve periodo”, mette in guardia Chavagneux. Inoltre, “se un referendum dovesse svolgersi in altri paesi il risultato potrebbe essere negativo.” Infatti, ritiene Chavagneux,

oggi l’Europa esige l’austerity permanente, obbedisce alle lobby private, è un deserto digitale, non ha avviato pienamente la sua transizione ecologica, accetta di avere al suo interno dei paradisi fiscali, è un nano politico, tecnocratico e trasforma il Mediterraneo in fossa comune.

Per finire, osserva, “la Brexit rivelerebbe al mondo che l’Europa sta morendo per colpa dei suoi dirigenti”. Essi infatti

non hanno nulla da proporci affinché l’Europa attragga, seduca e mobiliti le energie. Poi si stupiscono quando si trovano confrontati all’aumento dei populismi e dei nazionalismi. Ne portano la responsabilità e sembra che nemmeno lo spettro della Brexit sia capace di provocare un soprassalto. Se dovesse accadere si dice che la Francia e la Germania si riavvicineranno su difesa e sicurezza. Non basta però per delineare un vero progetto. Siamo una generazione europea perduta.

Tags
Ti è piaciuto questo articolo? Noi siamo molto felici. È a disposizione di tutti i nostri lettori, poiché riteniamo che il diritto a un’informazione libera e indipendente sia essenziale per la democrazia. Tuttavia, questo diritto non è garantito per sempre e l’indipendenza ha il suo prezzo. Abbiamo bisogno del tuo supporto per continuare a pubblicare le nostre notizie indipendenti e multilingue per tutti gli europei. Scopri le nostre offerte di abbonamento e i loro vantaggi esclusivi e diventa subito membro della nostra community!

Sei un media, un'azienda o un'organizzazione? Dai un'occhiata ai nostri servizi di traduzione ed editoriale multilingue.

Sostieni il giornalismo europeo indipendente

La democrazia europea ha bisogno di una stampa indipendente. Voxeurop ha bisogno di te. Abbònati!

Sullo stesso argomento