Il grande balzo in avanti

L’accordo del 18 dicembre tra i ministri europei delle finanze autorizza la sorveglianza comune delle banche e un meccanismo di bailout. Un passo necessario ma non sufficiente verso una vera unione monetaria.

Pubblicato il 19 Dicembre 2013 alle 16:19

Per l’Europa è stato un giorno positivo. Per meglio dire, è stata una notte positiva. L’accordo sull’unione bancaria, raggiunto in tarda serata a Bruxelles mercoledì 18 dicembre, segna un passo avanti importante nell’integrazione europea. Un passo nella direzione giusta, anche se incompleto.

Un passo che dovrebbe rassicurare risparmiatori e mercati e permettere di consolidare un settore bancario europeo che conta ancora alcune anatre zoppe. In seguito al cataclisma del 2008, gli Stati Uniti sono stati molto più veloci nel risanare le loro banche. Ma l’unione bancaria, e questo è quanto mai importante, completa l’architettura di una zona euro la cui crisi ha dimostrato fino a che punto fosse anche instabile e fragile.

Con l’armonizzazione dei bilanci, dei fondi di solidarietà europei (e forse un domani anche del coordinamento delle politiche economiche), l’unione bancaria concretizza l’unione monetaria. Era ora. Solo così si potranno spezzare una volta per tutte i rapporti tra la crisi bancaria e il debito sovrano. Si potranno quindi evitare quegli effetti di contagio che hanno fatto sì che alcune banche gestite in modo disastroso – ad Atene, Dublino, Madrid o Cipro – abbiano portato i loro stati sull’orlo del fallimento, mettendo oltretutto in pericolo la sopravvivenza stessa dell’insieme della zona euro.

L’accordo, risultato di un compromesso tra il sud e il nord della zona euro, deve adesso essere ratificato dai capi di stato e di governo dell’Unione e poi approvato dal Parlamento europeo. Tale accordo organizza l’unione bancaria attorno a due missioni: la supervisione delle banche e la risoluzione delle crisi bancarie.

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Il primo capitolo è il più radicale e il più innovativo. Esso sottrae la supervisione delle banche ai regolatori nazionali per affidarla alla Banca centrale europea, la più efficiente delle istituzioni dell’Unione, che d’ora in poi sorveglierà direttamente circa 130 enti bancari a rischio.

[[Si tratta di un salto di sovranità come l’Ue non conosceva da tempo]], e in quanto tale ancor più gradito e logico nell’ambito di un’unione monetaria. Inoltre è più che giustificato: gli esempi di Grecia, Irlanda o Spagna hanno dimostrato l’irresponsabilità di alcuni regolatori nazionali, per non parlare della loro assenza.

Il capitolo della risoluzione delle crisi bancarie – ricapitalizzazione o inizio della procedura fallimentare obbligatoria di un ente – è un po’ meno coraggioso. È segnato dall’ostilità della Germania a tutto ciò che sembra un “trasferimento” all’interno della zona euro. Non si tratta più di costituire un fondo pubblico amministrato da una delle istituzioni dell’Unione – si è candidata la Commissione – per assicurare un aiuto diretto a una banca in difficoltà.

Per tutto il resto si rimane in ambito nazionale. In ognuno dei paesi interessati, il settore bancario dovrà abbondare per costituire un fondo di risoluzione. Questa garanzia sarà introdotta gradualmente, per essere messa veramente a carico di tutti a partire dal 2026, data alla quale si dovrebbero poter mobilitare circa 60 miliardi di euro.
Prosegue insomma il lento risanamento della zona euro. L’accordo di mercoledì accompagna il ritorno sui mercati di Spagna e Irlanda. La situazione è ancora critica, ma per lo meno le cose si stanno muovendo nella direzione giusta.

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