Il libero scambio minaccia il cinema europeo

I negoziati per l’accordo commerciale transatlantico potrebbero portare alla revoca dell’“eccezione culturale”, che ha consentito di mantenere i sussidi nazionali. Esposta alla concorrenza americana, l’industria audiovisiva europea rischia di sparire.

Pubblicato il 14 Giugno 2013 alle 10:32

Annunciati all'inizio dell'anno, i negoziati fra l'Unione europea e gli Stati Uniti sulla creazione di una zona di libero scambio suscitano entusiasmo ma anche numerosi interrogativi. "Questo accordo permetterà di creare nuovi posti di lavoro e di stimolare la crescita economica dai due lati dell'Atlantico", ha dichiarato il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, sostenuto dalla maggioranza dei ministri dell'economia dell'Ue. La firma dell'accordo è ormai quasi una certezza, ma c’è il rischio che la cultura europea ne diventi la prima e la più illustre delle vittime.

Nel 1998 la Commissione europea ha armonizzato le regole grazie alle quali le opere cinematografiche e audiovisive europee beneficiano di un trattamento particolare, basato sulla regola dell'eccezione culturale. In altre parole ogni stato membro può sostenere la produzione nazionale di film e di musica in base al principio che "la promozione della cultura è una delle funzioni principali della comunità europea". Ma in base ai termini del futuro accordo di libero scambio, i film e la musica diventano una merce come le altre. Con quali conseguenze?

In primo luogo si rischia di veder scomparire le istituzioni nazionali che accordano delle sovvenzioni alla maggior parte dei film europei (in Polonia questo ruolo spetta all'Istituto polacco dell'arte cinematografica Pisf). Lo scopo di queste istituzioni è proprio l'applicazione della tutela culturale. Il problema maggiore non è però l'assenza di queste istituzioni, ma del denaro che raccolgono sul mercato (in Polonia questi fondi provengono in particolare dalla vendita dei biglietti nelle sale cinematografiche e dalle reti televisive). Senza questi fondi i film di Smarzowski, Jakimowski, Krauze o Holland, così come quelli di Haneke, dei fratelli Dardenne e di Cristian Mungiu, non avrebbero mai visto la luce.

Ma è anche il sistema delle quote europee a essere minacciato. Un sistema secondo il quale ogni rete televisiva europea ha l'obbligo di riservare almeno il 50 per cento della sua programmazione alla produzione europea. In fin dei conti è l'intero funzionamento dei media pubblici a essere messo in discussione, e in questo contesto lo è anche la giustificazione di un canone televisivo. I piccoli cinema impegnati nella promozione dei film europei non potranno più avere degli aiuti, così come saranno esclusi gli autori di musica polacca. Conformemente alla legge sulla radio e sulla televisione in vigore, ogni stazione radio deve dedicare almeno il 33 per cento della sua programmazione musicale alla musica polacca. In base all'accordo di libero scambio queste regolamentazioni non esisteranno più.

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Al contrario delle apparenze, la questione culturale non è affatto ai margini dei negoziati fra l'Ue e gli Stati Uniti. Da molto tempo gli americani si battono per la liberalizzazione della cultura europea, a cui finora l'Unione ha saputo resistere. "Già adesso il 60 per cento dei film presentati nei cinema polacchi o francesi proviene dagli Stati Uniti", osserva Jacek Fuksiewicz del Pisf. "Che succederà se verranno meno gli aiuti al cinema europeo?"

"Gli americani adottano una logica commerciale. Da loro il cinema è un'industria, la seconda in termini di fatturato a livello nazionale", aggiunge Dariusz Jabłoński, presidente dell'Accademia del cinema polacco (Polska Akademia Filmowa). "In Europa guardiamo la cultura in modo diverso".

I ministri europei della cultura hanno espresso la loro opposizione all'integrazione della cultura nel mandato dei negoziati, perché come scriveva il ministero polacco "l'opera audiovisiva non è solo un prodotto, ma anche un mezzo di trasmissione degli elementi culturali che fanno parte dell'identità polacca ed europea".

I registi hanno pubblicato una lettera aperta, firmata da più di seimila persone del mondo del cinema, fra cui Michael Haneke, Pedro Almodovar, Ken Loach, Cristian Mungiu, i fratelli Dardenne e per la Polonia da Andrzej Wajda, Agnieszka Holland, Krysztof Zanussi e Jerzy Skolimowski. Per loro l'Europa non "dovrebbe rinunciare al diritto a difendere la propria cultura. Nulla giustifica una cosa del genere e tutto vi si oppone". Durante il festival di Cannes alcune personalità americane come Steven Spielberg e Harvey Weinstein, produttore indipendente newyorchese e fondatore della Miramax, si sono uniti all'appello.

Per Agnieszka Holland includere la cultura nell'accordo di libero scambio fra l'Europa e gli Stati Uniti significherebbe considerare questo settore in termini commerciali e obbligarlo a sottostare alle stesse regole di qualunque altro settore del commercio. Gli americani insisteranno su questo punto, perché l'esportazione dei prodotti audiovisivi rappresenta per loro un'importante fonte di reddito. Si tratta di una vera e propria minaccia per la cultura audiovisiva europea. Non potremo affrontare gli americani senza il sostegno pubblico. Finora ci siamo riusciti grazie all'"eccezione culturale" introdotta dalla Francia negli anni novanta in seguito ai negoziati sul Gatt (General Agreement on Tariffs and Trade). Oggi i negoziati ripartono da zero, per di più in un contesto politico ed economico europeo molto difficile.

Carta bianca

Per ora solo il Parlamento europeo si è lasciato convincere e ha sostenuto l'introduzione dell'"eccezione culturale" nei negoziati fra l'Ue e gli Stati Uniti. Il problema è che non sarà il parlamento ma la Commissione a decidere. Il 17 maggio scorso il commissario europeo al commercio Karel De Gucht ha detto che l'accordo fra l'Ue e gli Stati Uniti non riguarderà il sostegno pubblico alla cultura e al settore audiovisivo, ma queste parole non hanno rassicurato.

"Si tratta dell'ennesima dichiarazione di principio, che non ha alcuna forza giuridica", ha dichiarato la direttrice del Pisf Agnieszka Odorowicz. "Non sappiamo ancora con precisione né quale sarà l'oggetto dei negoziati né quali competenze avrà la Commissione. Inoltre le trattative sono coperte dalla clausola della confidenzialità. Tutto ciò ricorda il caso dell'Acta. Con la giustificazione dei negoziati commerciali, si adotta una procedura che avrà un grande impatto sulla politica culturale dei paesi membri. A quanto pare il mandato negoziale che la Commissione europea cerca di ottenere sembra troppo generico e troppo ampio. La Commissione cerca di avere carta bianca, il che potrebbe rivelarsi pericoloso per la Polonia. Il cinema polacco non gode di agevolazioni fiscali, al contrario di quello americano: noi abbiamo un'iva al 23 per cento. Inoltre che il budget di Avatar equivale a nove anni di finanziamenti pubblici per il cinema polacco".

Qualche giorno fa una delegazione europea di registi, con Costa Gavras, Cristian Mungiu e Dariusz Jabłoński, ha incontrato a Strasburgo il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso. Ma a quanto pare tutto sarà deciso venerdì prossimo, il 14 giugno, quando il mandato della Commissione europea sarà definito dai governi dei paesi membri dell'Ue.

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