La biblioteca nazionale di Sarajevo

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La sede della biblioteca di Sarajevo distrutta dai serbi nel 1992 è stata ricostruita con i fondi dell’Ue. Ma oltre vent’anni dopo questo simbolo resta ostaggio dei rancori della guerra.

Pubblicato il 12 Luglio 2013 alle 12:20
La biblioteca nazionale di Sarajevo

Se dovesse scegliere il libro della sua vita, quello che preferisce in assoluto, Kanita Focak non saprebbe decidersi. Sceglierebbe il Decameron, la raccolta di novelle del Boccaccio? Un romanzo di Salman Rushdie? O forse Il ponte sul Drina, del premio Nobel jugoslavo Ivo Andrić ? Per quanto riguarda il luogo ideale, invece, non ha esitazioni: si tratta della Vijećnica, l’ex biblioteca nazionale della Bosnia-Herzegovina, simbolo della sua capitale Sarajevo. I manoscritti, i libri, le carte geografiche e i giornali in essa contenuti coprono un periodo di sei secoli e le lingue inglese, turca, araba, russa, persiana, tedesca e italiana. Non mancano ancheconcerti e mostre, organizzati in quella sede a testimonianza che la biblioteca riflette tutta la Bosnia multietnica. Focak ha 59 anni e racconta che “tutti gli avvenimenti più importanti della mia vita sono legati a Vijećnica”.

Focak ha imparato presto ad amare le lingue e la letteratura, la pittura e l’architettura. A soli 16 anni la giovane, vagamente somigliante a una Grace Kelly bruna, divorava libri sull’architettura del Rinascimento, opere di Dante e Boccaccio. E lo faceva nelle sale di lettura rivestite di libri della Vijećnica. In seguito, la cattolica Kanita ha conosciuto Faruk, un operaio musulmano di dieci anni più grande di lei. I due innamorati si ritrovavano in biblioteca, nella sala di lettura quando pioveva, nelle sale di marmo dell’ingresso se c’era il sole. Le due famiglie erano contrarie al loro rapporto, ma i due hanno tenuto duro. Si sono sposati alla fine degli anni ottanta, poi si sono trasferiti nella casa della famiglia di Faruk, che sorge proprio di fronte alla biblioteca nazionale. Ma la loro felicità non era destinata a durare.

Nel 1991 in Croazia è scoppiata la guerra, prima di dilagare in meno di un anno anche in Bosnia. Un pomeriggio dell’inizio d’aprile nel 1992, l’artiglieria serba ha lanciato i suoi primi colpi d’obice dalle verdi colline di Sarajevo. Il parlamento bosniaco e il consiglio costituzionale sono stati subito dati alle fiamme. Per anni, uno degli istigatori intellettuali della guerra si era seduto proprio accanto a Focak nelle sale di lettura della Vijećnica: era Nikola Koljević, studioso di Shakespeare all’università di Sarajevo. Il giovane universitario si è poi lasciato conquistare dall’ideologia dei nazionalisti serbi, secondo i quali il destino li chiamava a ricostituire la “Grande Serbia”, estromettendo le altre popolazioni dal loro territorio e annientando il loro patrimonio. Durante la guerra Koljević, rappresentante del leader serbo Radovan Karadžić, ha partecipato alla campagna di esilio e genocidio.

La sera del 25 agosto 1992, l’ex studioso universitario ha ordinato all’artiglieria serba di bruciare la biblioteca Vijećnica. Una pioggia di proiettili incendiari si è così abbattuta sulla biblioteca e i nove decimi dei circa 1,5 milioni di opere sono andati in cenere. Quello è stato il più grande rogo della storia moderna, un gesto distruttivo premeditato, la cancellazione di un passato comune perpetrato allo scopo di ostacolare un avvenire comune.

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Sull’altra sponda del fiume un colpo d’obice si è abbattuto invece sul muro della sala di Focak e ha colpito Faruk al ventre. Ha lottato tra la vita e la morte per quattro giorni, poi ha detto a Kanita: “Tu vedrai crescere nostro figlio, io no”, prima di morirle tra le braccia, dopo soli quattro anni di vita in comune. Alla fine della guerra, diventata architetto, Kanita Focak ha partecipato alla ricostruzione della città e ben presto le moschee, le chiese, le case borghesi ristrutturate sono tornate a restituire a Sarajevo la posizione che le spetta tra le più belle città dei Balcani.

Ma la biblioteca nazionale è rimasta a lungo soltanto un ammasso di ruderi. Finora nessuno ha pagato ancora per il bombardamento della Vijećnica. Certo, la distruzione di beni culturali è assimilata a un crimine di guerra e può essere un buon motivo per il tribunale penale per l’ex-jugoslavia dell’Aja per perseguire i colpevoli. Ma Koljević, l’ex esperto di Shakespeare, ha posto fine alla sua vita suicidandosi. E così i procuratori hanno tolto la distruzione della biblioteca nazionale Vijećnica dall’elenco dei capi d’accusa – diventato fin troppo lungo – a carico di Karadzić e del suo generale Ratko Mladić.

Anche i bibliotecari aspettano ancora che sia fatta giustizia. I libri e i manoscritti che sono riusciti a salvare in un primo tempo sono stati chiusi nelle casseforti della lotteria nazionale, poi sono stati trasferiti in un rifugio antiatomico e infine sono andati nei sotterranei del ministero dell’istruzione, prima di finire in una ex caserma dell’esercito jugoslavo. Là i bibliotecari stanno ancora cercando di rimettere insieme i fondi della
Vijećnica. Ma ancora oggi questa biblioteca non ha un domicilio fisso e rischia di fallire. Su un centinaio di dipendenti che impiegava un tempo ne restano soltanto 47, sistemati in locali di fortuna.

I bibliotecari hanno tappezzato le pareti di fotocopie delle lettere spedite ai dirigenti politici della Bosnia per implorare la ricostruzione della biblioteca e, soprattutto, di sbloccare i finanziamenti. Per il momento queste suppliche sono rimaste lettera morta. Pare quasi che lo spirito malvagio di Koljević perseguiti ancora la repubblica serba di Bosnia a maggioranza serba. Sulla carta, questa repubblica è una delle due regioni autonome della Bosnia Herzegovina, ma il suo presidente preferirebbe l’indipendenza o, meglio ancora, l’adesione alla Serbia. È trascorso molto tempo da quando i serbi di Banja Luka, capitale della repubblica serba di Bosnia, hanno ribattezzato la biblioteca della provincia “Biblioteca nazionale e universitaria”.

I libri restano fuori

Nella seconda regione del paese, la federazione della Bosnia-Herzegovina formata dai bosniaci e dai croati di religione musulmana, anche molti croati sono favorevoli a una maggiore autonomia e nemmeno loro vogliono veder rinascere un simbolo nazionale. Certo, gli accordi di Dayton che posero fine al conflitto nel 1995 prevedono che la Bosnia-Herzegovina finanzi le infrastrutture pubbliche. Ma il ministro degli affari civili incaricato della cultura da 11 anni, Sredoje Nović, ex capo dei servizi segreti e ministro degli interni della Repubblica serba di Bosnia ritiene che non essendo stato il suo ministero a istituire la Biblioteca nazionale non spetti a lui pagarne la ricostruzione.

Tuttavia i fondi non mancano a Sarajevo, quando c’è la volontà politica di ricostruire e il progetto è innocuo sul piano politico. Ciò vale anche per la Vijećnica, il cui edificio da poco ha ritrovato il suo splendore di un tempo. I conti dei lavori, pari a cinque milioni di euro, sono stati pagati dall’Unione europea. L’ex simbolo dovrà riaprire i battenti nel giugno 2014, per accogliere il sindaco e il consiglio municipale.

Nella Bosnia odierna le due istituzioni non hanno quasi potere e non rappresentano il paese, e ciò rientra perfettamente nella politica del direttore d’orchestra, quello stesso ministro che ha rifiutato di finanziare la ricostruzione della biblioteca nazionale, escludendo completamente i bibliotecari dal progetto della nuova Vijećnica. Secondo i piani del progetto elaborato alle loro spalle, la biblioteca nazionale che sarà aperta più avanti nei locali ristrutturati della Vijećnica conterrà soltanto manoscritti e poche opere rare. Gli altri libri resteranno ancora nel loro riparo di fortuna.

Così si fa la storia. “Quando l’antica Vijećnica è bruciata, è andata in fumo la sede stessa della nostra storia comune, dei nostri ricordi comuni, della nostra vita insieme”, dice Kanita Focak. I libri che rappresentavano tutta la sua vita restano sepolti alla periferia della città, in una vecchia caserma jugoslava.

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