Inquinare conviene

Il Parlamento europeo ha deciso di ritirare 900 milioni di euro di crediti per l’emissione di CO2 per compensare il calo dei prezzi dovuto alla crisi. Ma per salvare il sistema servirà ben altro.

Pubblicato il 20 Febbraio 2013 alle 16:50

Lo strumento principale nella lotta contro il riscaldamento climatico rischia di avere vita breve. Da mesi i certificati di emissione di anidride carbonica vedono il loro valore scendere. Così inquinare l'atmosfera emettendo gas a effetto serra diventa sempre meno caro.

Il problema è che il sistema di scambi di diritti di emissione ha ottenuto l'effetto contrario a quello previsto: in origine la scarsità artificiale [dei diritti di emissione] avrebbe dovuto rendere l'emissione di gas inquinanti più cara. Ma oggi questi certificati sono disponibili in abbondanza, e se non si farà nulla il sistema di scambi dei diritti di emissione potrebbe poco a poco diventare del tutto inutile.

A prima vista la caduta dei prezzi rientra nella logica del dispositivo. La sua chiave di volta è un tetto di emissioni di anidride carbonica che vale per tutte le fabbriche e le centrali elettriche sull'intero territorio europeo. In caso di scarsità di certificati i prezzi salgono e diventa conveniente investire in impianti più rispettosi del clima. In compenso chi rifiuta di modernizzare i propri impianti deve mettere mano al portafoglio.

Un'idea geniale, ma se l'economia comincia ad avere problemi, i prezzi scendono perché le emissioni si riducono. L'attuale riduzione dei prezzi arriva in un contesto di recessione che coinvolge gran parte dell'Europa e di ristrutturazione dell'approvvigionamento energetico. Più si introduce elettricità "verde" nella rete, più la domanda di certificati si riduce. Ma questa è solo una parte della spiegazione del recente calo dei prezzi.

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Il vero problema del sistema è precedente e ha le sue radici nell'intensa e fruttuosa attività di lobbying dell'industria europea. In effetti fin dall'inizio le imprese sono state generosamente dotate in diritti di emissione, e se non ne hanno se li possono procurare all'estero a prezzi vantaggiosi. Mentre le imprese che non ne hanno bisogno li possono conservare per dopo.

Il risultato è che anche il terzo "periodo di scambi" del dispositivo, che si è aperto il mese scorso e arriva fino al 2020, mostra già un’eccedenza di quasi due miliardi di certificati. Un’eccedenza che basterebbe all'intera industria tedesca per più di quattro anni. Il prezzo oscilla intorno ai cinque euro.

In questo contesto la misura presa martedì dalla commissione ambiente del Parlamento europeo rappresenta una vera e propria operazione di salvataggio. Si è deciso infatti di ritirare a titolo eccezionale 900 milioni di certificati dal mercato nei prossimi anni per stabilizzare i prezzi. Questo tipo di intervento tardivo è poco ortodosso in un sistema regolato dal mercato. Tuttavia nella situazione attuale è l'unico modo per evitare che il sistema di scambio dei diritti di emissioni diventi ridicolo.

Questa situazione deriva prima di tutto dall'incapacità degli europei di adottare l'unica vera misura coerente, cioè rendere più rigidi i loro obiettivi di lotta contro il riscaldamento climatico. Quattro anni fa i paesi membri dell'Ue avevano previsto di ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra di un quinto entro il 2020 servendosi delle emissioni del 1990 come base di calcolo. Oggi questo obiettivo è stato quasi raggiunto. Il suo superamento ne rappresenta la continuazione logica - e questo forse già dal 2013 e non dal 2019. In questo senso si imporrebbe un aumento del 30 per cento di questo obiettivo, quanto meno per inviare un messaggio alle altre potenze industriali.

La Germania latita

Ma da questo punto di vista la Germania non offre certo un buon esempio. In passato precursore della lotta contro il riscaldamento climatico, il governo tedesco potrebbe battersi a Bruxelles in favore delle riforme, ma non fa nulla di tutto ciò.

In realtà questo atteggiamento non si dimostra lungimirante e questo sotto diversi aspetti. In primo luogo a causa della caduta del prezzo della CO2, le centrali a gas stanno perdendo competitività rispetto alle centrali a carbone, molto più nocive per il clima - ma al contrario è proprio oggi che abbiamo un bisogno urgente di queste centrali e della loro flessibilità per compensare le fluttuazioni di produzione dell'energia eolica e solare. Inoltre il budget a disposizione del Fondo per il clima, che dovrebbe permettere al governo tedesco di sostenere la svolta energetica, si va sempre più riducendo - nel solo 2013 potrebbe perdere 1,4 miliardi euro, cioè il risultato della vendita all'asta di certificati. Tutti problemi ai quali sarebbe facile trovare un rimedio.

Al contrario Berlino osserva passivamente il declino del sistema europeo di scambio di diritti di emissione - l'unico strumento mondiale di lotta contro il riscaldamento climatico che sia vicino al mercato. E l'unico che sia "globalizzabile", perché gli altri paesi vi si possono aggiungere senza problema - la Norvegia lo ha fatto, l'Australia e la Svizzera sono in trattative con l'Ue, mentre la Cina, la Corea del sud e la California stanno studiando dei dispositivi simili. Insomma, se l'Europa abbandonasse questo dispositivo sarebbe una catastrofe.

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