La corruzione ha la pelle dura

A quasi dieci anni dalla loro adesione all’Ue nei paesi dell’ex blocco comunista il malaffare è ancora diffuso. Bruxelles può fare ben poco: la soluzione deve venire dalla società, ma ci vorrà tempo.

Pubblicato il 20 Giugno 2013 alle 15:03

Alla fine il premier ceco Petr Nečas si è dimesso. Lo ha fatto lunedì pomeriggio (17 giugno), cinque giorni dopo le rivelazioni sul più grande scandalo di corruzione nella storia recente del paese. Ovviamente Nečas avrebbe preferito che le cose andassero altrimenti. Negli ultimi giorni aveva fatto capire di non avere nulla da rimproverarsi e che sarebbe rimasto al suo posto. A tutti i costi.

Invece dovrebbe considerarsi fortunato. Poche settimane prima uno dei suoi ex omologhi, il primo ministro sloveno Janez Janša, è stato condannato da un tribunale di Lubiana a due anni di carcere: è sospettato di aver accettato una mazzetta per l’acquisto di blindati finlandesi. Le analogie tra questo caso e lo scandalo per corruzione nella Repubblica Ceca sono sorprendenti. Anche là le commesse delle forze armate si sono rivelate una miniera d’oro.

Non molto lontano la situazione non è certo migliore. In Croazia, che nel giro di due settimane entrerà a far parte dell’Unione europea, l’ex primo ministro Ivo Sanader si trova in custodia cautelare in attesa di giudizio e rischia oltre dieci anni di reclusione.

I problemi con cui questi ex premier devono fare i conti sono al tempo stesso una buona e una cattiva notizia. Buona perché a dieci anni di distanza dall’allargamento dell’Unione a est, finalmente si stanno prendendo delle iniziative contro la corruzione. Repubblica Ceca, Slovenia e Croazia non sono certo eccezioni.

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Anche in altri paesi dell’ex blocco orientale la giustizia finalmente si è rimessa in moto, lentamente ma implacabilmente, contro la criminalità organizzata. Anche i paesi che hanno una pessima reputazione, come la Romania e la Bulgaria, hanno preso misure inimmaginabili fino a pochi anni fa. Negli ultimi mesi non meno di tre ministri sono stati messi sotto inchiesta.

La cattiva notizia è che questi problemi testimoniano quanto è difficile cambiare le vecchie abitudini. I nuovi stati membri hanno riformato e adeguato le loro legislazioni come richiesto da Bruxelles, ma spesso non le applicano. Questa è un’eredità del comunismo. La corruzione a quei tempi era infatti una componente del tutto normale della vita sociale.

Le ripercussioni si fanno sentire ancora oggi. Nei nuovi stati membri dell’Unione europea non passa giorno senza che compaia un nuovo scandalo sulla prima pagina dei quotidiani, anche nei paesi che danno l’esempio nella lotta contro la corruzione come la Polonia.

Bruxelles può intervenire quando ci sono in ballo i finanziamenti europei. Alla fine dell’anno scorso la Commissione europea ha bloccato oltre 800 milioni di euro di sussidi in seguito alla scoperta di irregolarità nella costruzione di un’autostrada in Polonia. Anche altri paesi dell’ex blocco comunista hanno dovuto regolare i conti per i loro piccoli traffici illeciti in occasione della contabilizzazione dei mercati pubblici. Tuttavia questi interventi sono soltanto eccezioni: le irregolarità di solito sono molto difficili da dimostrare e Bruxelles in pratica è impotente davanti al dilagare della

Stop ai fondi

Non esistono alternative: tra i paesi che hanno aderito all’Unione europea negli ultimi dieci anni, soltanto Bulgaria e Romania sono ancora sotto stretta osservazione, seppur limitata, da parte della Commissione europea. Ma in realtà essa difficilmente può esercitare la sua autorità o qualche forma di pressione su questi paesi, e infatti non ha mai fatto ricorso alle sanzioni disponibili. L’unico mezzo di pressione possibile consiste dunque nel minacciare di bloccare il loro ingresso nell’area Schengen. Ma sarebbe vano aspettarsi miracoli.

È proprio questa sensazione di impotenza ad aver suggerito a quattro paesi membri ricchi, tra i quali i Paesi Bassi, di proporre il congelamento dei fondi europei per i paesi che non rispettano le regole. L’idea è molto interessante ma non produrrà nulla di concreto, tenuto conto delle divisioni in seno all’Unione europea.

Il risanamento deve dunque partire dal basso, lentamente ma implacabilmente, un passo alla volta. Chiunque pensi che il processo dovrebbe essere più rapido provi a guardare che cosa sta accadendo in Bulgaria, dove il 98 per cento dei mercati pubblici è in mano al 2 per cento delle aziende. All’inizio dell’anno le manifestazioni contro la corruzione hanno portato alla caduta del governo.

Adesso i bulgari devono ricominciare tutto da capo. Una delle prime decisioni del nuovo governo è stata quella di nominare al vertice dei servizi segreti un magnate corrotto dei media. [Il parlamento ne ha poi revocato la nomina]. Il primo ministro Plamen Orešarski non ci aveva visto nulla di male.

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