"Finalmente una grande coalizione"

La nuova generazione e i suoi nemici

Il nuovo governo guidato da Enrico Letta sembra soddisfare il bisogno di un ricambio generazionale. Ma le incognite sulla sua tenuta restano parecchie, a cominciare dall’alleanza con Berlusconi.

Pubblicato il 29 Aprile 2013 alle 14:49
"Finalmente una grande coalizione"

Nessuno può nascondere le criticità del neonato governo. Il quale poggia le basi su un' alleanza che difficilmente muterà la sua natura di ircocervo: per metà progressista e per metà conservatore, con una linea politica tutta da decifrare e con l' elettorato del centrosinistra in subbuglio, confuso dal patto stretto con Berlusconi.

Del resto questo esecutivo è il frutto dell'emergenza e il prodotto di un risultato elettorale a dir poco nebuloso. Senza una maggioranza netta e ora con il partito più importante - il Partito democratico - in frantumi a causa della gestione disastrosa del voto per il Quirinale.

Eppure questo esecutivo rappresenta comunque una svolta nella palude della politica italiana. Con un tratto di penna sono stati cancellati praticamente tutti i leader che hanno guidato e condizionato la vita del Paese negli ultimi venti anni. Non sono mancate le pressioni - da entrambe le parti e anche dall' esterno - per mantenere lo status quo. Ma la richiesta di rinnovamento, di ricambio generazionale ha comunque avuto la meglio.

Un ruolo decisivo in questo lo ha svolto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E l' esito è per il momento sorprendente. Il centrosinistra perde i suoi capi storici. Alcuni di loro hanno provato, con insistenza, ad entrare nel nuovo gabinetto ma non ci sono riusciti. Perdendo forse l' ultima occasione.

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Il centrodestra per la prima volta dal 1994 entra in una compagine governativa senza Silvio Berlusconi. Il simbolo di quell'area non ha incarichi. Così come non ce l' hanno suoi ex ministri. Ed è stato accantonato anche l' ormai ex premier, Mario Monti. "Giovane" per la politica ma comunque settantenne. È certamente la fine di un ciclo, non si sa se è l' inizio di un New Deal.

L' età media dei membri della squadra "lettiana" è fortemente in discesa rispetto a quella uscente. Molti giovani e molte donne. Con la nomina, per la prima volta nella storia d' Italia, di un ministro di colore. Il riconoscimento più marcato ai cambiamenti che stanno maturando nella società italiana e nella sua composizione demografica. In questa operazione il presidente del Consiglio è riuscito probabilmente a costruire un team migliore dell' alleanza che la sosterrà. Anzi, se si pensa a quella coalizione, ha forse evitato il peggio. Ma adesso quelle scelte, benché in parte necessitate, hanno segnato un punto di non ritorno.

Difficilmente alle prossime elezioni o quando si formerà un altro governo, si potrà ripescare tra gli emblemi della vecchia generazione. Una sorta di piazza pulita come fu Tangentopoli nel ' 92-' 94 ma senza i processi. Un passaggio che in questo caso smonta uno dei tipici vizi italici: la tutela quasi feudale delle posizioni dominanti. Così come l' ascensore sociale rimane spesso bloccato nel nostro Paese così la classe politica si arrocca nell' autoperpetuazione.

Per Letta, però, questo è solo il primo passaggio. E per superarlo ha dovuto pagare un prezzo: ha consegnato il potente ministero dell' Interno ad Angelino Alfano, il braccio destro del Cavaliere. Un dicastero decisivo anche per quanto riguarda le posizioni giudiziarie del leader Pdl. Il Partito democratico ha anche perso quasi tutti i dicasteri di "Serie A" puntando però su quelli "socialie culturali". Un quadro che obbligherà il nuovo inquilino di Palazzo Chigi a fare quotidianamente i conti con le ritrosie del centrodestra e con l' esigenza di spingere sul cambiamento.

Perché il malessere che resta tra i militanti e l' opinione pubblica di centrosinistra difficilmente resterà in sonno. Le contraddizioni sono troppo evidenti e troppo sentito lo scontro che si è consumato negli ultimi venti anni per dimenticare in un giorno il conflitto di interessi, le leggi ad personam, la politica economica che ha esasperato le disuguaglianze e ampliato la distanza tra i poveri e ricchi di questo Paese (il 10% delle famiglie più ricche possiede ormai quasi il 45% della ricchezza totale).

Probabilmente lo stesso Letta sa che lo scoglio più grande sarà ancora il Cavaliere. Lo sarà soprattutto la sua mutevolezza politica direttamente proporzionale ai suoi guai giudiziari. Questa sarà la vera variabile incontrollabile per Palazzo Chigi.

Letta dovrà dimostrare - anche al suo elettorato più riottoso - che l' ircocervo è stato utile al Paese e che l' alleanza con il centrodestra non prevede nulla di mefitico nel suo patto costitutivo.

Reazioni

Ottimismo a Bruxelles, preoccupazione a Berlino

Dopo che la formazione del nuovo governo ha messo fine alla crisi politica dovuta all’incerto risultato delle elezioni del 24 e 25 febbraio, “a Bruxelles il sentimento prevalente oscilla tra la rassicurazione e la cautela, tra l’ottimismo e la prudenza”, riferisce il Sole 24 Ore:

L’Italia è considerata per molti versi l’ago della bilancia nella crisi del debito sovrano. Per ora i mercati hanno dato fiducia all’establishment italiano. [...] La speranza a Bruxelles è che il governo duri il più possibile per evitare un ritorno alle urne troppo rapido. [...] Il ritorno in Italia di un esecutivo con pieni poteri sarebbe utile anche per riequilibrare i poteri in un Consiglio nel quale la debolezza francese, la fragilità spagnola e l’incertezza italiana hanno dato a Berlino un peso che non conviene né all’Europa né alla stessa Germania.

Ma se il passato di eurodeputato di Enrico Letta contribuisce a rassicurare i partner europei, le sue dichiarazioni dopo aver ricevuto l’incarico, secondo cui l’Ue deve “cambiare quelle politiche troppo attente all'austerità che non sono più sufficienti”, hanno profondamente irritato il governo tedesco e in particolare il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, scrive Linkiesta. A Berlino si teme che il nuovo governo possa alimentare il dibattito aperto la settimana scorsa dalle dichiarazioni del presidente della Commissione europea José Manuel Barroso sui “limiti dell’austerity”.

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